Continuano le grandi inchieste sul mondo del calcio dilettanti da parte di Bergamo & Sport. Questa volta sul giornale in edicola i nostri lettori troveranno l’analisi delle entrate e delle uscite economiche dei vivai dei club orobici. Subito sfatiamo un mito che ogni tanto sentiamo in tribuna quando andiamo a vedere una partita tra bambini: “Con le quote dei nostri ragazzini i club diventano ricchi”. Non è così. Anzi. Non solo le società calcistiche non ci guadagnano una lira, ma il più delle volte ci perdono. Perché chiedono pochissimo (si va dai 180 ai 350 euro per ogni tesserato), a fronte di spese che ogni anno lievitano.  Prima dei numeri, il confronto con una baby sitter e con gli altri sport. Se mio figlio va a giocare a pallone, sarà occupato per almeno cento pomeriggi l’anno (i due allenamenti e la partita, da fine agosto a metà maggio). Mediamente i nostri dirigenti chiedono 250 euro a tesserato. Significa che mi tengono il figlio per tre ore chiedendomi appena 2 euro e 50 centesimi. Tariffa oraria incredibile, 80 centesimi, un decimo di quanto prende la famosa tata (8 euro), un cinquantesimo della paga di un singolo maestro di tennis (40 euro) o di sci (a cui va però aggiunta la salassata per il giornaliero e per l’affitto di sci e scarponi).  Sipario quindi su un’inchiesta che tra le righe spiega perché il calcio è la disciplina che pratica più gente in Italia. Perché è quella che costa meno di tutte.