C’è questa notizia, passata inosservata nel nuovo casino che stiamo vivendo, quello della lenta riapertura dopo la strage legata alla pandemia di coronavirus. L’ho letta per caso questa mattina, una manciata di righe sulle pagine locali di un giornale nazionale. E’ un fatto accaduto a Boltiere, paesone di oltre seimila anime, quasi alle porte della nostra città, la ricca Bergamo.
E’ successo che martedì sera, più o meno alle otto, in via Monte Grappa, un bimbino di dieci anni, Karim Bamba, è rimasto incastrato tra le lamiere di un cassonetto della Caritas. Il piccolo, uno dei cinque figli di una famiglia molto povera, stava cercando qualche vestito e un paio di scarpe per i suoi piedi che da troppo tempo giravano scalzi lungo le strade del centro bergamasco o nel parcheggio del supermercato dove chiedeva la carità. Si è arrampicato e il suo piccolo torace è rimasto schiacciato. Liberato dai vigili del fuoco, è stato subito portato al Papa Giovanni. Quando è arrivato all’ospedale, non c’era più niente da fare.
Karim è morto per quattro stracci. E a leggere la storia mi sale lo sconcerto, il senso di fallimento di essere il cittadino di uno Stato che mai come adesso lascia sempre indietro gli ultimi, chi fa fatica, chi non ce la fa, senza curarsene fino in fondo. Così come durante la pandemia con i nostri anziani, i tantissimi morti nel silenzio assordante di tante case di riposo, così adesso con questo popino.
Lo Stato non si è preso cura di Karim, non l’hanno fatto i suoi tribunali, in questo caso quello di Brescia, che aveva recentemente deciso di rimandare ancora le decisioni su una famiglia che economicamente non ce la faceva più. E a nulla è valso l’impegno assiduo dell’amministrazione comunale, appunto quella di Boltiere, che per il destino di Karim e dei suoi fratelli ha sempre fatto tutto il possibile, dandogli la casa, dimenticandosi delle bollette che i genitori avrebbero dovuto pagare, segnalando, proprio in questi giorni, che la situazione dei Bamba era ulteriormente peggiorata e che bisognava prendere decisioni forti, a tutela dei bambini.
A raccontare queste settimane il sindaco, Osvaldo Palazzini, una persona molto in gamba, col cuore in mano e il magone in sottofondo. “E’ una tragedia che sconvolge un paese ancora scosso per via dei tanti morti di coronavirus, i molti amici che se ne sono andati a marzo, un mese tragico, che difficilmente dimenticheremo – ci spiega il primo cittadino di Boltiere -. Seguivamo la famiglia, ognuno di noi se ne era fatto carico, anche molti cittadini. Volevamo tutti un gran bene a Karim, così come ne vogliamo ai suoi fratelli. Io stesso, quando vedevo i ragazzi per strada, li rimproveravo, ovviamente bonariamente. Erano sempre in giro, gli dicevo di tornare a casa. Proprio in questi giorni avevamo fatto due cose. Innanzitutto avevamo dato ai genitori il contributo concesso alle famiglie in difficoltà. Poi avevamo segnalato all’agenzia dei minori di Dalmine il peggioramento della situazione, su cui ha influito anche la chiusura delle scuole, un luogo che dava ai cinque bambini una quotidianità, delle regole, e a noi la possibilità di controllarli maggiormente”.
L’impressione è quella di una tragedia annunciata, dovuta alla miseria che cresce nella nostra provincia, dove l’emergenza del coronavirus sembra aver lasciato il passo alla povertà in cui si trovano i molti che per due mesi sono stati a casa, senza lavoro e senza stipendio. Sempre quando muore un bambino, tanto più se il motivo sono due scarpe, si assiste al fallimento di un’intera società. Ed è arrivato il momento di ripensarla.  

Matteo Bonfanti

La foto del cassonetto della Caritas è di Mauro Paloschi, collega di Bergamonews.it