di Matteo Bonfanti
Siamo alla vigilia, domani è Natale, tra due giorni è Santo Stefano, una settimana e sarò al Veglione, mezzo muerto e catatonico, incapace di formulare persino un pensiero debole, di quelli che si fanno ai corsi d’inglese per sfigati, dico frasi tipo “the pen is on the table” o “here’s a present for you” o “nice to meet you”.
Insomma come tutti, da questa sera fino al sei gennaio, sarò a far brindisi. E vorrò un sacco di bene, prenderò un sacco di botte dai due zingari-punk che sostengono di essere figli miei e che ora si sono scoperti due giovani cavalieri jedi, ingrasserò, uscirò a fumare quando mia mamma attaccherà a raccontare di quando ero un bambino straordinariamente giudizioso, parlerò raramente e mai dei cazzi miei, ascolterò la guida al campionato di mio cognato Richi (juventino sfegatato), rutterò, scoreggerò a tavola per via del brasato (tentando di farle silenziose e attribuendo la colpa a un parente a caso) e giocherò a mercante in fiera perdendo centinaia di euri.
Farò una fatica boia perché il vino scalderà gli animi, i vecchi alzeranno la voce e a me sembrerà di essere a un raduno della Lega Nord, ma non uno di adesso da ammosciati coi felponi di ghisa. Parlo dei ritrovi degli inizi, da duri e puri, quando Bossi sembrava uno onesto, stava a petto nudo pure col freddo becco che c’è qui e pareva il fratello di Braveheart, quello brutto, ok, ma comunque quasi uguale, con il medesimo charme di Mel Gibson. Poi l’Umbert ha avuto la sua serataccia e il conseguente coccolone ed è cambiato. L’anno scorso ha persino sputato in diretta a Studio Aperto. Io e mia moglie continuavamo a rivedere la scena, sconvolti, non tanto per il gesto, che capita, quanto per il catarro nei polmoni. Ha espulso una cosa gialla-verde gigante, senza esagerare saranno stati sette centimetri quadrati di roba. E lo ha fatto in due occasioni, a distanza di cinque-sei secondi, da tisico indemoniato dell’Ottocento. Pareva che tutto il catarro del pianeta Terra ce l’avesse in corpo lui. Povero. Dispiace. Colgo quindi l’occasione per fare all’ex leader del Carroccio i miei migliori auguri, sperando stia meglio, meno intasato, consigliandogli il Vix Sinex prima di andare a letto. Aiuta un botto. Forza, Senatur…
Parentesi chiusa. Torno alle mie feste. Già verso il 27 sognerò di tornare in redazione, tranquillo e pacifico a cazzeggiare su facebook, a whatsappare coi miei soci del pallone e ad ascoltare la musica per tagliarsi le vene che manda in onda Rtl 102.5, i videoclip dei cantanti italiani  perennemente dai cuori infranti. Buone feste pure a loro, a Cesare Cremonini, a Tiziano Ferro, a Jovanotti, a Ligabue, a Zucchero, a Vasco Rossi, a Marco Mengoni, a Gigi D’Alessio e al frontman dei Modà. La speranza è che nel 2016 smettano di lamentarsi, magari trovando ognuno un uomo o una donna o un cane fedele che gli stia appiccicato al tramonto, quando ai nostri menestrelli salta addosso la malinconia e si mettono a scrivere quelle canzoni lì, che a me fanno sempre piagnere.
Rieccomi. A meno di miracoli riuscirò a tornare in ufficio solo il 5 gennaio. Quindi scrivo adesso, che è più o meno mezzanotte, e Zeno, il jedi più piccolo, sette anni, continua a spostarmi il computer, a saltarmi sulla schiena, a toccarmi la tetta, un neo e le orecchie, il tutto mentre fa finta di vedere Gamble. L’altro jedi, Vinicio, nove anni, sta crollando, ma non molla perché domani non c’è scuola. Vogliono fare la notte insonne. Hanno in testa il famigerato “Pigiama Party”. Sti cazzi. Magari ce la fanno oppure finirà come succede quando non c’è la nostra donna, mia moglie, la loro mamma: noi tre che si crolla sul divano senza lavarci i denti, che non si dovrebbe fare, anche se ho letto sul Corriere della Sera che le carie sono genetiche e che spazzolarsi o no i molari e i canini non serve a nulla. Forse era una balla però da quella lettura la vita mi è leggermente cambiata: prima frequentavo il dentifricio una volta al giorno, ogni sera, ora il rapporto è diventato settimanale, il lunedì mattina.
Va beh, succede. E questo è uno di quei pezzi in cui mi trasformo nel dottor Divago. Dico dico, parlo parlo, faccio ragionamenti discretamente gradassi da giornalista tutto chiacchiere e distintivo, e non ne arrivo mai a una. Anche ora che me ne sono accorto e tento di tirarmi insieme sul tema del giorno, il Santo Natale, l’anno vecchio e l’anno nuovo, il bilancio del 2015, i desideri per il 2016, per me, per il mondo e per l’intera galassia visto che a casa mia pare di essere nel Millenium Falco tanti sono i gadgets di Star Wars e tra poco bussa alla porta Luke Skywalker. Me lo immagino accompagnato da Gesù, armati di spade laser, ma buonissimi, reduci da due balli qui sotto, al Divina di Fulvio e Lori. Entrano, bevono con me un bicchiere di bianco dell’Olivo e insistono per lavarmi i piedi. Gentilmente, ma con estrema fermezza, gli spiego che non mi va perché è tre giorni che non faccio la doccia e sarei imbarazzato a causa dello sporco nero che si forma in mezzo alle dita. I due capiscono il mio problema, vedono la chitarra sul divano e mi chiedono di suonargli Imagine di John Lennon. E ci mettiamo a cantarla, commossi, in cerchio, mano nella mano.
E sono finalmente al punto centrale dell’articolo: vorrei che in questo momento fossero tutti immersi in quelle strofe, nelle splendide parole dell’ex Beatles, nella musica dolcissima che ne è il meraviglioso completamento. Qui a Bergamo oppure a Shanghai o a New York o a Parigi o a Tripoli, il mio sogno è che ognuno stia vivendo in pace. Senza guerre, né in strada né nel proprio cuore.