Il primo giorno di scuola è sempre un’incognita. Non sai come saranno i compagni, se riuscirai a farti qualche amico, non sai come saranno i professori, se saranno troppo severi o di quelli che ti chiamano per nome e cercano di fare un po’ gli amiconi, quelli che sì bello, però anche meno. Il primo giorno di scuola ti tremano le gambe. La notte prima non dormi, ti giri e ti rigiri, con l’ansia che ti mangia, ansia ed eccitazione, perché si diventa grandi, e diventare grandi fa paura, ma cavolo quanto è bello.

Zagabria, 18 settembre 2019. L’Atalanta si è presentata al suo primo giorno di scuola, la scuola dei grandi, l’università come dice il pres Percassi. E si è comportata un po’ come quel ragazzino impacciato che si siede in quinta fila, perché dietro non si sente e ci va chi non vuole seguire, ma lui no, vuole ascoltare, imparare, in prima fila però non può andarci, perché sarebbe troppo, con gli occhi del professore addosso, davanti a tutta l’aula.. troppo. Ecco “troppo” probabilmente hanno pensato gli 11 ragazzi in campo ieri sera: troppa importanza, troppa tensione, troppa velocità, troppa fisicità. La Dinamo ieri era troppo, e noi siamo stati troppo poco. Ma non è questa l’Atalanta. Non è confusione, non è imprecisione.

 L’Atalanta si è seduta in quinta fila ed ha osservato, ha imparato ed ha capito che l’università non è come le superiori, che in Champions ci vanno le grandi.

Ma i tifosi sanno bene che la loro Dea se è arrivata fino a li è perché forse un po’ grande anche lei lo è diventata. Ed è un po’ anche questo che fanno i grandi, cadono ma si rialzano subito.

Lo sanno bene i coraggiosi che hanno seguito la squadra fino a Zagabria, lo sanno bene quelli che sono stati ore fermi al confine, quelli che sono arrivati allo stadio solo a partita iniziata, trovando una Dea in difficoltà, già sotto di un gol, e che, nonostante tutto, a fine partita hanno applaudito i loro ragazzi. Lo sanno quelli che sono rimasti a casa ma che il cuore lo avevano al Maksimir. Lo sanno quelli che c’erano quando la Dea la serie A la vedeva con il binocolo, e alla Champions, non ci pensava proprio.

Lo sanno quelli che mercoledì hanno vissuto un sogno, quelli a cui qualche lacrima è scesa giù perché “pota la Dea l’è in Champions” e chi l’avrebbe mai detto.

Lo sanno bene perché sono Bergamaschi e a Bergamo testa bassa e si lavora, sempre. Siamo caduti e ci siamo rialzati, sempre. Come quella domenica a Milano. Come quel 30 agosto a Copenaghen.

Bergamo, 19 settembre 2019, forza, Dea, si ricomincia.

Simona Marcelli