Se ne scrivo è perché ho visto Andrea, ma non sono riuscito a fermarlo per parlargli e spero che tra oggi e domani gli capiti di leggere queste mie righe per fissare con calma un appuntamento. Ho il suo numero di cellulare, potrei chiamarlo, ma non me la sento perché temo di essere frainteso. Resta però che ho bisogno di vederlo per spiegargli tranquillamente i problemi che sto incontrando sulla mia strada. Come detto, ci siamo già conosciuti. Era ieri, all’ora di pranzo ero fuori dalla redazione a fumarmi una sigaretta e lui mi è passato davanti. Mi ha guardato e l’ho guardato, mi ha sorriso e gli ho sorriso, ha alzato la mano e ho alzato la mano, mi ha salutato e l’ho salutato. Siamo andati avanti così per un minuto buono, a gesti molto intensi, profondi, sembravamo insomma due marshallers (quelli che fanno i cenni agli aerei, ndr). “Andre” era anzianetto, coi baffi folti e grigi, con in testa un cappello nero e con addosso un completo marrone assai vintage, direi su per giù dell’anno settantaquattro. Pareva, in bello, il vecchio che si beve un sacco di birrozze perché sta sull’etichetta della Moretti da sessantasei. Avrei voluto abbracciarlo, ma temevo di spaventarlo. Era guardingo. Poi si è diretto verso la Pandona a passo spedito, ignorando le altre vetture nel parcheggio. E ha messo il dodicesimo bigliettino offensivo in una settimana sul cristallo della mia maghina, “compro auto usate incidentate, fuse, chilometrate e d’epoca”. Quindi è scomparso, lo giuro, tipo come ho visto fare anni fa a una festa del Calcio Mozzanica Donne a un mago famoso che era stato una volta ospite pure da Silvio Berlusconi, l’ex premier, e ho perso l’occasione per farci due chiacchiere. Bene, anzi no. Sia detto per inciso che io con Andrea non ce l’ho minimamente, ognuno fa il suo lavoro, lui lascia i suoi cartoncini sulle auto, io scrivo articoli, non c’è un mestiere migliore e uno peggiore, a uno piace impegnarsi su una cosa, all’altro in un’altra, morta lì, questione di passioni. C’è però modo e modo di fare il proprio mestiere perché c’è in ballo la sensibilità dei soggetti in causa. E qui arrivo al punto, il fatto che la Panda Aranciona a Metano sta soffrendo come una bestia. Già gli insulti costanti dei miei figli, Vinicio e Zeno, che la definiscono “una macchina di merda” e non vogliono più salirci perché due colleghi gli hanno raccontato che ci vive il topo gigante avvistato dal Forno qualche notte fa in redazione, già che si sente vecchia pur essendo ancora una ragazzina, è del 2009, ora Andrea e i suoi messaggi, probabilmente il colpo di grazia. Dalla disperazione si è messa a bere, così adesso ogni dieci chilometri mi devo fermare a fargli acqua e benzina. E piange, con un cigolio struggente, tra l’altro sempre più forte col passare dei giorni. Per questo cerco Andrea, per chiedergli se può stampare, ovviamente a mie spese, un nuovo biglietto, “compro auto tenere e dolci, che fanno il loro, potenti e graziose”, e lasciarlo sulla Pandona. Sarebbe il metodo giusto per far tornare il sorriso alla mia amata compagna di viaggio.
Matteo Bonfanti