Fin dalle scuole elementari, oggi chiamate primarie eccetera, qualcuno di cui non conservo memoria mi disse che “San Valentino è la festa di ogni innamorato che crede di essere amato invece è solo fregato” (immaginate la filastrocca recitata nel tono cantilenante d’un bimbo di sei anni).
Sta frase, sebbene si sia stampata nella mia mente come dimostra il fatto che l’ho riportata esatta benché vecchio e bavoso, non mi ha mai condizionato ed ho sempre cercato di vivere le mie storielle con la stessa sincerità che mi contraddistingue quindi, da amante dell’Amore, non potevo non subire l’influsso della festa degli innamorati difatti, dalla cabina di regia dell’autobus in dotazione, guardavo con occhi trasognanti coppie che passeggiavano teneramente mano nella mano, taluni addirittura avvinghiati affinché il ben che minimo effluvio del dio Eros non sfuggisse dai loro corpi. Verso sera, in attesa dell’orario di partenza al capolinea di Città Alta destinazione Aeroporto, c’era una coppia di giovani ragazzi seduti nei posti centrali: lei con la testa appoggiata al suo amore e lui appoggiato sulla sua. Un’immagine tenerissima da glicemia a mille, soprattutto quando ho visto gli altri passeggeri scendere di corsa per salire su di un altro autobus che partiva alcuni minuti prima del mio e loro, quei due piccioncini, sono rimasti l’uno sull’altra imperturbabili come se il tempo non avesse più valore. Vederli mi ha catapultato di trent’anni indietro quando anch’io, su di una panchina della stazione di Brescia, ero avviluppato al mio primo amore: momenti di magia che tutti hanno provato almeno una volta, o almeno spero. Comunque, questa melassa, fatta dai due giovani amanti con la scritta “love” lampeggiante sopra le loro teste, è scesa alla Stazione di Bergamo lasciando una scia che ha fluttuato indisturbata sull’autobus finché non ha subito il contrasto dall’esatto opposto nel viaggio di ritorno dall’Aeroporto. Giunto all’altezza dell’unica fermata intermedia fuori la città di Bergamo, in Via per Orio, intravidi due personaggi che s’agitavano disperatamente segnalandomi l’intenzione di salire sull’autobus. Occhio e croce erano almeno trecento metri lontano dalla palina perciò, stando alle regole, avrei potuto pacificamente tirar dritto ma, cazzarola, non ce l’ho fatta fermandomi ad aspettarli nonostante avessi visto che il tizio, il maschio della coppia, non avesse una corsa fluida e men che meno rettilinea. La ragazza, poco più in dietro, trascinava un cane della dimensione d’un amabile capellino da signora, un batuffolo che quando non era sospeso a mezz’aria arrancava per evitare l’atroce morte per strangolamento. Il tizio sale in incognito mentre la sua tipa, arrivata alla porta in palese debito d’ossigeno, mi getta un “grazie” e poi, rivolta alla povera bestia, “Dai amore, fai un saltino” con tenerezza, come se poco prima non avesse attentato alla sua vita. Il bus era praticamente vuoto: c’erano solo loro due seduti distanti ed un lavoratore di colore del nostro beneamato scalo bergamasco. Per i primi minuti sentii solamente il respiro affannato della ragazza che seguitava a soffiare come un mantice ma, sbirciando nello specchio interno, m’accorsi invece stesse piangendo pulendosi le lacrime che scendevano sotto gli occhiali rossi. Il ragazzo le suggerì “vieni a sederti qui” ma lei, rabbiosamente, rispose “vieni qui tu cazzo” riprendendo a piangere e disperarsi. Il tizio allora si spostò per sederle vicino (non accanto). D’un tratto volò un “sei uno stronzo” senza alcuna replica. Subito dopo il lavoratore di colore, saggiamente, cambiò posto defilandosi. “Sei uno stronzo” ribadì lei disperata, gettandosi indietro con la testa, piangendo il suo dolore a bocca spalancata al che, per la prima volta, udii la di lui voce scandire un sontuoso “toh figa”, dando poi un sorso alla lattina di birra che fino ad allora non avevo visto. In quel momento, io, cominciai a darmi dell’imbecille perché era la mia ultima corsa ed a fine servizio non si raccattano “grane”.
A quell’ora non c’era in giro più nessuno, perciò spinsi sull’acceleratore anelando la fermata della stazione sperando scendessero. Lei intanto seguitava ad insultarlo e la tensione saliva proporzionale ai sorsi di birra del ragazzo. Finalmente a destinazione aprii, ed il primo a gettarsi fuori dalla porta fu il lavoratore di colore seguito a ruota dalla tipa dopo aver urlato un solenne “sei una merda”. Io la tenevo monitorata dallo specchio laterale vedendola trascinarsi in preda al pianto. Mi giunse accanto al che il mio sguardo compassionevole incontrò gli occhi del povero cagnolino al quale andò tutta la mia comprensione. Lo seguii con lo sguardo zampettare verso la stazione della TEB notando che in quel momento il giovane ubriacone li stesse seguendo con passo incerto e a debita distanza.
Nel giorno di San Valentino, in poco più di mezz’ora, ero stato testimone degli estremi d’un rapporto di coppia che alla ragguardevole età di cinquantuno anni mi ha lasciato un insegnamento:
“La prossima volta… tira dritto”.
Marcus Joseph Bax