Lo sport apre, lo sport chiude, lo sport riapre, lo sport richiude…in questi mesi molte sono state le decisioni a proposito delle attività sportive.

Con l’ordinanza del 16 ottobre di quest’anno, sono state sospese da un giorno all’altro tutte le attività degli sport di “contatto”. Ricordo quel venerdi sera quando ci giunse la notizia, subito dopo gli allenamenti al centro sportivo di Azzano. Ricordo la delusione delle ragazze del volley e dei ragazzi del calcio. La stessa delusione che ho poi ritrovato nel volto dei miei amici quando, per smaltire la notizia e rinfrescarmi le idee, li ho raggiunti per una birra al Villino, uno dei porti più sicuri della città: dal Beppe e la Vale. Lì ho incontrato i calciatori del Longuelo, i baskettari dell’Easy Grassobbio, i pugili della Palestra Popolare…tutti estremamente tristi per quella restrizione improvvisa. Sembrava ci avessero tolto il nostro giocattolo preferito conquistato con tanta fatica a suon di duri allenamenti, sanificazioni e regolamenti…

Il 21 ottobre, un nuovo Dpcm lascia aperto uno spiraglio: si ritorna in palestra per gli allenamenti, anche se solo in forma individuale, evitando così ogni possibile contatto. Riprendo quindi anch’io gli allenamenti con le ragazze del volley che, pur nei limiti imposti da un regolamento che snatura completamente il nostro sport, esprimono con ottime prestazioni la gioia per questa possibilità.

Ma non passano che pochi giorni ed ecco che, il 24 dello stesso mese, un nuovo decreto più restrittivo fa una parziale marcia indietro: sono consentiti soltanto gli allenamenti che rientrano nelle discipline sportive di “interesse nazionale”. E qui inizia il cinema delle varie interpretazioni sul significato da dare alle discipline di interesse nazionale. La formula è alquanto vaga, e sta alle federazioni dare una interpretazione possibilmente univoca al decreto. Ma in un paese come il nostro, dove abbondano gli azzeccagarbugli, tutto diventa complicato. La materia del contendere riguarda due modi differenti di “leggere” o meglio di interpretare il decreto: uno più estensivo, l’altro più restrittivo. Da qui nasce un tiremmolla dialettico tra Federazioni ed Enti di promozione sportiva tanto improduttivo quanto sfiancante. Gli Enti di promozione sportiva iniziano a fare la guerra alle Federazioni che, viste le indizioni dei campionati, sono riuscite a fare rientrare le proprie attività tra quelle di interesse nazionali. Ma gli stessi Enti di promozione si rifaranno quando con il DPCM del 3 dicembre il governo cambia ancora le carte in tavola permettendo le attività di “PREMINENTE” interesse nazionale…questa parola ribalta gli scenari e questa volta sono le Federazioni ad attaccare alcuni Enti di promozione sportiva che nel frattempo si sono organizzate per far proseguire alcune attività. Come direbbe il mio amico Ske, quando un popolo è in difficoltà (in questo caso il popolo degli sportivi) dovrebbe unirsi e non dividersi…invece assistiamo alla solita inutile guerra tra poveri. Unica buona notizia è che dal 3 dicembre è concessa l’attività sportiva in forma individuale all’aperto quindi alcune scuole calcio possono finalmente riprendere gli allenamenti.

A chi obietta che non è il caso di insistere su un settore che, alla fin fine, non pregiudica più di tanto l’economia di uno Stato e per di più non è ai primi posti degli interessi della politica in un momento tanto critico, vorrei rispondere citando una riflessione di Mauro Berruto, allenatore di pallavolo, bronzo olimpico con la nazionale maschile: “Chiudere una palestra -ha detto- è come chiudere una scuola, un teatro o una biblioteca”

Chi pensa che sia giusto tenere i nostri ragazzi su comodi divani, davanti a Smartphone di ultimissima generazione per tenerli lontani da assembramenti o da altri pericoli di contagio, non dimentichi del grandissimo prezzo che un’intera generazione sta già pagando in termini sportivi, di prestazione e di valori. Per non parlare di altri effetti collaterali che la mancanza di attività fisica produce a livello sanitario: si pensi all’obesità, alle patologie cardiovascolare, al diabete, etc.

“Qui- conclude Berruto – non si tratta di perdere un paio di medaglie olimpiche. In questo momento, in cui c’è giustamente un grande fervore per far sì che le scuole restino aperte, ci deve essere anche per tenere vive le palestre, perché rappresentano un presidio di civiltà”.

Non è un caso infatti che nell’Antica Grecia nasce il concetto di “paideia”, un modello pedagogico in base al quale l’istruzione di bambini e ragazzi era affiancata da una formazione etica, spirituale e anche sportiva. Lo sport infatti è una delle attività che più ci fa crescere perché conferisce a chi lo pratica padronanza di sé, dei propri atti, dei propri limiti; perché è in grado di accendere lo spirito; perché è capace di riempire l’azione di un atleta di tensione, di emozioni, di generosità, di coraggio, di impegno; perché ritornare al gioco, per quanto possa essere faticoso, permette di apprezzare la vita, lo stare insieme, il divertimento.

A questo punto, non ci rimane altro che la speranza di vedere, passato questo strano Natale, la ripresa di tutte le attività sportive con protocolli mirati e più sicuri possibili, così come si è deciso per i bar, i ristoranti e le altre imprese commerciali.

Nel frattempo molti giovani atleti stanno continuando, con non pochi sacrifici, a non mollare, a non abbandonare il loro sport, a non tradire la loro passione. Non è facile allenarsi in casa, spesso online, lontani dal proprio gruppo. A questo si aggiunge non sapere quando e se riprenderanno le gare, i campionati… è come correre senza una meta: bisogna essere un po’ folli, molto appassionati e avere una grande mentalità!

In questo caso ci facciamo ispirare da Kobe Bryant, hall of famer del Basket NBA scomparso all’inizio di questo 2020. Lui stesso si è dato il soprannome di “black Mamba” uno dei serpenti più letali e rapidi in natura. Da qui nasce la Mamba Mentality: la mentalità per cui non conta il risultato che ci prefiggiamo, quanto piuttosto il processo che porta a quel risultato. Conta il percorso e l’approccio: è uno stile di vita adatto ad ogni impresa!

Sembrerà una follia per chi non lo ha mai provato ma l’obiettivo non è mai solo vincere; l’obiettivo è il duro lavoro. La ricompensa è la soddisfazione di essersi spinti al massimo: dal punto di vista fisico, emotivo e mentale. Solo così si è pronti per affrontare tutto e tutti e a quel punto fare meglio del tuo avversario e vincere è quasi inevitabile.

Concludo con un augurio a tutti gli sportivi per questo Natale e per il 2021: quello di riconquistare i nostri sport, i nostri spazi, le nostre competizione ma soprattutto quello di sapersi godere la strada che porta a un obiettivo: solo così riusciremo sempre a farci trovare pronti!

Antonella Leuzzi