Ciao Giovanni, mi hai tolto le parole. E, ad essere sincera, non sono in tanti a riuscirci. Senza contare, poi, che, per uno che nella vita le usa per mestiere, me l’hai combinata davvero grossa. Mi hai tolto le parole quando una settimana fa mi hanno raccontato al telefono del dramma che stavi vivendo, mi hai tolto le parole adesso che la malattia ti ha portato via. Non che nella vita ci siano modi giusti o sbagliati per andarsene o, ancora, persone che lo meritino più di altre. E’ solo che non pensavo potesse capitare a te. Non so come spiegarmi e non so se capita solo a me, ma spesso tendo a pensare che certe cose brutte, certi drammi o certi dolori non possano capitare a tutti. Quantomeno non a quella categoria di persone perbene che conosci, a quelle che ti strappano sempre un sorriso, a quelle che ti fanno pensare, anche solo per un nanosecondo, quando le incontri, che la vita è bella. E te, Giovanni, facevi parte proprio di quella categoria lì, di quelli con la faccia buffa e il sorriso contagioso, di quelli che non penseresti mai che ti stanno raccontando una bugia, perché glielo leggeresti in faccia. Perché, io, di te, ho sempre pensato una cosa sola: che eri un tipo semplice e vero. E sincero. Sincero tanto da raccontarmi tutte le tue peripezie quando ti sei dato da fare in politica nel tuo paese, comprese quelle in cui ti avevano chiamato “giornalaio”. E ci eravamo fatti una grossa risata. O di quando mi hai detto, anni fa al primo torneo di calcio a 5 organizzato dal Bergamo & Sport, che eri tu il capitano del PSG Valbrembo. E io avevo riso di nuovo. O di quando ti ho chiesto, l’ultima volta che ci siamo sentiti al telefono se avessi chiamato tuo figlio col nome Nicola proprio in onore di Nicola Berti (il mio idolo da bambina). E quella volta avevi riso tu. O di quando, ancora, al negozio di animali, dove ero capace di spendere metà stipendio, mi consigliavi le peggio porcate da comprare al mio Full. E, nel frattempo, mi raccontavi della pappa che portavi al canile e del cane che ti ha distrutto le tende della camera da letto. Proprio il cane che alla fine hai portato a casa, incapace di dire di no alle volontarie. Perché te, Giovanni, eri un buono. E i buoni non meritano di soffrire. E, anche se il destino per te ha voluto il contrario, ricordati che nella mente e nel cuore di chi ti ha voluto bene, quel ricordo lì di te, proprio quello di un ragazzo dal cuore grande e d’oro, non lo porterà mai via nessuno.
Te ne sei andato in una domenica particolare, una domenica senza il tuo calcio. E anche se i dilettanti si sono fermati per la neve e i “grandi” per la morte di un altro figlio della nostra terra, a noi piace pensare, anche solo per un attimo, che il calcio si sia fermato per onorare la tua memoria.
Monica