Bene, anzi male, anzi direi malissimo. Così ieri, più o meno alle otto e mezza, fuori le luci della sera, dentro noi quattro a tavola, la televisione che prima va in stand by e poi si spegne, lasciandoci, inesorabilmente, alle nostre parole. Senza “I Soliti Ignoti” in sottofondo, Vinicio, mio figlio, ormai prossimo ai quindici anni, parte col solito interrogatorio quotidiano a suo babbo, che sono io, che mi chiamo Matteo, che faccio il giornalista sportivo, che ho 43 anni, che ho un libro in vendita, e che prima del covid suonavo musica brutta brutta e lenta lenta col solo scopo di far limonare persone a caso tra di loro (l’anziano con la vergine in età da marito, la tettona rifattona col giovane rapper, l’anziano col giovane rapper, la tettona rifattona con la vergine in età da marito, legandoli insieme con un nastro adesivo sottratto alla Fiera di Bergamo, sempre con il famoso schema del torneo all’italiana…).
“Ma Matty, sincero, ma sincero, tu ti fumi le cannette della droga?”. Prendo tempo, riempiendolo di minchiate sperando che si dimentichi della domanda: “Vini, ma per cannette della droga cosa intendi? Dici le sigarette? Pensi ai sigari? O a quei sigarri sottili sottili che hanno sempre in tasca gli indiani metropolitani? Ma tu hai presente in India? Fanno un sacco di cose divertenti, tipo lo yoga tutti biotti sul fiume Gange per ore e ore, mentre passano delle zattere con sopra dei morti che stanno bruciando lentamente… Dovremmo andare in India una volta di queste, Sara, ad esempio, che è una mia carissima amica che adesso vive a Roma, ci è andata. Le è cambiata la vita. A tanti la migliora, iniziano a emanciparsi dalle passioni, che sono importanti, ma pure pericolose…”.
“Papà, piantala, dico l’erba…”. Ah, cazzo, il ragazzo non molla e mi ha pure chiamato papà, qualcosa che non accadeva dal 2012, la situazione deve essere molto seria, breve e circoncisa, come direbbe il famoso politico. “Vini, se parli dell’erba cucca, non l’ho mai fumata. La mangiavo nei prati quando ero bambino. Cresceva proprio sotto il San Martino, dove d’inverno andavamo ad allenarci con l’Aurora San Francesco. Facevamo mille e passa salite ogni allenamento, su e giù all’impazzata per intere sere. Ci allenava Giacomo, aveva i baffi folti folti, proprio come me. E’ un uomo molto buono, ironico, un bellissimo tipo. Poi quando ho cambiato squadra, passando a Olginate, l’erba cucca al campo non c’era più. Così ho smesso. Non so se esista ancora o se si sia estinta per via dell’inquinamento. Sai, Vini, quando io avevo la tua età, c’erano molte meno auto in giro, l’aria era pulita, i fiori crescevano in ogni dove…”.
“Papà, smettila. Non intendo l’erba cucca, ma le canne. Papà, le canne. Tu ti fumi le canne?”. Ancora… E adesso che succede? Continuo sulla falsariga di prima: “No, tranquillo Vinicio, fumarsi le canne è qualcosa d’impossibile. Intanto dove vai a prenderle? Sull’Adda? E poi non so neppure se si possano portare via, che magari sono protette dai politici ambientalisti, perché ne vanno pazzi i panda che sono in via d’estinzione. Poi, anche se riuscissi a portarmi qualche canna a casa, per arrivare a fumarle ci vorrebbero dei mesi. E’ un processo troppo lungo. Prima bisognerebbe essicarle, poi sminuzzarle. Insomma, ritengo che il gioco non valga la candela. No, non mi fumo le canne. Meglio qualche sigaretta”, sperando di averla finalmente risolta perché una risposta gliel’ho data e può ritenersi soddisfatto.
Ma m’illudo, perché il muscoloso pallanuotista nel fiore degli anni, che sta mangiando il riso coi piselli proprio davanti a me, riparte all’attacco. “Papà, la maria”. E allora ho un altro colpo di genio per non rispondere alla domanda da cento milioni del mio giovane uomo: “Intendi Maria… Maria, lei lei, l’unica, la madre santissima, bellissima e buonissima di tutti noi cristiani? Stai parlando della Madonna?”, e penso che potrebbe alzarsi di scatto e tirarmi un destro da un momento all’altro, perché né io, né, tantomeno, lui siamo tarati ed è impossibile che mi stia chiedendo se io passi qualche ora della mia vita a fumarmi le statuette che raffigurano la mamma di Gesù. Ma, comunque, ormai sono partito in quel viaggio, quindi tiro dritto, buttandola in caciara: “Ma come credi che possa mettermi a fumarmi una statuetta, che tra l’altro sta a Valgreghentino, a casa della nonna, ed è amata e venerata in ogni parte della Terra per il frutto del suo seno Gesù? Dai, Vini, piantala di scherzare… Sei un po’ blasfemo e io non mi sono mai fumato la Maria. E ci mancherebbe…”.
“Basta, ho capito. Sei scemo, papà. E ti fumi le canne”, la sentenza è arrivata. Riaccendiamo la televisione e ci vediamo il finale de “I Soliti Ignoti”. Poi domani, con calma, chiederò al mio psicologo, il famoso Ze Ze, se ho fatto la cosa buona e giusta a infarcirlo di tutte queste frasi a vanvera per non dirgli se mi fumo o non mi fumo ogni tanto qualche cannone (come tra l’altro fa la gran parte della mia generazione).
Matteo Bonfanti
Nella foto io, Zeno e Vinicio in una recente foto sul nuovo divano di Valgreghentino, da mia mamma