Chissà dove saremo anche solo a metà di questo viaggio, dico tra un paio d’anni o tre. Per ora non sono cambiato, ancora tornando a casa mi perdo a guardare la luna sopra Bergamo, questa notte a fettine, bacio la collanina che ho al collo per collegarmi ai pensieri di chi amo e non odio nessuno. Piuttosto inizio a fare un po’ di fatica a ricordare una giornata normale, di quelle in cui eravamo liberi liberi, insomma artefici del nostro destino, senza che un banchiere e quattro scoppiati fossero ogni volta a spiegarci a reti unificate quel che da domani saremo obbligati a fare per restare un altro giorno ai confini del male.
E’ passato tanto tempo e aggeggi incredibili sono diventati normali, all’inizio mi pareva di essere finito all’improvviso, senza aspettarmelo e privo di un adeguato compenso sul set di Grey’s Anatomy, adesso invece sono molto più tranquillo. Vado al bar esibendo il super green pass, mascherato come un anziano cardiologo ipocondriaco. E mi sento a posto, fiero, al cento, da qualche giorno anche gradasso che mi copro la bocca con una stoffina di un certo pregio, grigia topo e a pois. Questa vicenda è un po’ come quando ho ascoltato per la prima volta Colibrì di Cremonini, mi sono detto “va beh, il ragazzo è andato, aspettiamo l’overdose e facciamola finita con la sua musica intorno che ha davvero finito le parole”, ma poi l’ho sentita millesettecentosettevolte in radio e oggi l’ho cantata a squarciagola andando a Valgreghentino. Arrivato dai miei, ho urlato a mia mamma “pezzo indimenticabile, che capolavoro l’ultimo di Cesare. E’ maturato, oramai è un genio”.
Sono così, normalmente intelligente: non mi torna una cosa, ci rimango male, mi incazzo, ma poi mi abituo, non ci faccio più caso e mi adeguo. Del resto in famiglia mi chiamano Tranzollo Uno. Mi avesse detto Conte a marzo del 2020 che sarei finito la sera dell’otto dicembre del 2022, un sabato, nella mia redazione vuota senza alcuna partita l’indomani nonostante cinquanta milioni e passa di vaccinati, avrei quantomeno organizzato una manifestazione, pacifica, ma di protesta, giusto per chiedere se nella pera avessero deciso di infilarci dell’acqua e dello zucchero o del pane sbriciolato con del sale o del burro e della marmellata, visto che siamo sempre al punto di prima, nel gioco dell’oca di sto figa di Covid. Avessi passato all’epoca un’intera giornata tra i sommersi, che si devono nascondere, e gli incazzati, che vorrebbero mettere gli altri al muro, quantomeno avrei citato in un pezzo la canzone di Luca Carboni “ci stiamo sbagliando, ragazzi”.
Invece adesso mi faccio una foto con la mascherina alla moda, vado a bermi un Negroni al Blupuro con Marco e vi cito alla cazzo una frase di Osho, di quelle che le belle fighe mettono sopra alle foto delle loro chiappe, va detto sperando che si realizzi: “L’amore non è una passione. L’amore non è un’emozione. L’amore è una comprensione profonda del fatto che in qualche modo l’altro ti completa. Qualcuno ti rende un cerchio perfetto; la presenza dell’altro rinforza la tua presenza”. Crediamoci. E speriamo che per un caso fortuito Draghi legga il mio post, si commuova, pensi ai suoi nipoti e non agli euri nel cassetto fiscale e faccia ripartire il fubal, il mio lavoro, disciplina fatta da giovani vaccinati, sani e in gran forma.
Matteo Bonfanti