Valentina, che è una mia amica, una persona a cui voglio bene, senza avere mai avuto la possibilità di conoscerla fino in fondo, mi scrive “Matti, come stai?”. E oggi, e poi dopo questo tempo infinito, la sento come una domanda troppo difficile, a cui non so rispondere.
La giro a voi, come stiamo noi qui e ora? Come cazzo ci sentiamo passata questa cosa terribile, che forse è ancora in corso? Vivi, per fortuna, potrebbe essere la risposta. Traditi dalle persone di cui ci fidavamo, politici e industriali, potrebbe essere un’altra. In lutto, perenne, un’altra ancora. Tristini, che ci manca da morire il pallone, il mio lavoro, la passione di tutti, la magica Atalanta di noi innamorati di Bergamo e dei suoi dintorni. Nella speranza, che abbiamo donne, anziani e bambini, che ne hanno fatte di ogni per farcela passare, quantomeno per consolarci. Confusi, sempre e per sempre.
Dice Vale: “Dai, sei salvo”. Dico io: “Ma davvero?”. Forse oggi riparte il cinema coronavirus. Forse da domani è certo che né io né la mia gente quest’estate potremo andare. E io, che sono mezzo di Bologna, emiliano, ma anche tanto romagnolo, che è la Riviera, sento il bisogno di scappare per staccare, per non pensarci grazie ai miei piedi nel nostro mare.
E poi io di questo tempo, solo e soprattutto, non capire mai una minchia, non saperne mai la fine, dei morti e dei contagi, non riuscire a prevedere quando tornerà la mia adorata normalità, pur sorridendo che ho questo ruolo nel mondo, quello della leggerezza. Non è giusto essere giù, dico giù giù, come insegna mia mamma. Ma con questi al comando di chi mi posso fidare? Mi sento perso. Da ragazzo mi piaceva, adesso, da padre, proprio no, mi mette ansia.
Come stai? Forse la risposta di tutti noi bergamaschi è questa: con le palle piene, nell’incazzatura, ma facendo finta di essere sani, tra santi e puttane, senza più riconoscere né gli uni né le altre, perché dopo un sacco di menzogne siamo allo stremo, non riusciamo più a riconoscere il vero dal falso.

Matteo Bonfanti