SERSETANGOdi Serse Pedretti
Buen dias Amigos, vi scrivo da una città con circa venti milioni di abitanti, qui tutti, dico tutti, sono malati di futebol. Stiamo parlando di Buenos Aires,il motivo del viaggio è di lavoro, oggi è l’ultimo dei quattro giorni che ho vissuto intensamente in questa splendida città, domani all’alba si riparte, destino: Istanbul. Prima di partire (questa è la mia prima volta in Argentina), ero un po’ preoccupato, ho visto su Sky un programma che descriveva questa metropoli come la culla della truffa e della criminalità ma sinceramente non ho trovato niente di tutto questo, anzi, gli argentini sono un popolo allegro, ospitale e con una disponibilità indescrivibile.
Sono qui ospite di amici importanti, i dirigenti di Velez e Racing, i due club club meglio organizzati della Primera Division Nacional, di calcio ovviamente. Al mio arrivo all’aeroporto di Buenos Aires, ore 7,30 locali, ho trovato ad accogliermi l’autista del Velez: Josè. In meno di mezz’ora mi porta all’hotel che mi hanno riservato, nel quartiere esclusivo di Palermo dove abitava il nostro idolo della Dea, Maxi Moralez. Doccia veloce e alle 9 sono pronto per il primo tour, un paio di fabbriche del mio settore e poi la cantera del Velez, praticamente un quartiere con scuole, laboratori, impianti sportivi e centro fisioterapico, il tutto a disposizione degli atleti delle varie discipline sportive del Club: calcio, basket, ciclismo, pattinaggio a rotelle, ping pong ecc. Il centro deportivo comprende uno spazio ricreativo con parco, pista ciclabile, piscine. Di primo acchito immagino possa contenere circa cinquemila persone, Milanello in confronto è una scoreggia. Senza pausa si va a pranzo alle 16,30. Andiamo in pieno centro nel quartiere della Recoleta, al ristorante El Sabor, dove mi servono una bistecca enorme, il cameriere Alejandro me la taglia col cucchiaio, da non credere: è alta quattro dita, mentre mangio penso: me la ricorderò per sempre. Ma non ho idea che siamo solo all’inizio di un percorso fantastico, un mix tra calcio, storia, cucina e immigrati italiani, un cocktail esplosivo. Chiedo di pranzare velocemente perché voglio vivere ogni attimo di questo viaggio, voglio vedere tutta la città e le sue sfumature, la voglio vedere da argentino, così mi portano al Cementerio, un cimitero che ospita i sarcofagi dei più importanti personaggi di Buenos Aires: politici, artisti, sportivi, poeti, filosofi, passeggiare per le stradine del Cementerio è come fare un viaggio nel tempo. C’e un’atmosfera d’altri tempi. Fuori dal Cementerio attraversiamo il parco tra le bancarelle di prodotti artigianali (ho comprato una borsa da viaggio in pelle) e gli artisti di strada: marionette, gruppi rock, mimi, maghi, un delirio. Altro taxi e siamo all’ippodromo, la squadra di polo dove gioca il figlio del mio amico Alfredo si sta allenando, sugli spalti ci sono circa seicento persone, incredibile, ma anche veder giocare a polo sarebbe tutto da raccontare, che esperienza, sono stracarico e innamorato di questa città. Sono qui da poche ore e a ogni “quadra” (così si chiamano gli incroci) mentre passeggiamo scambiamo quattro parole con le persone che incontriamo, chiaro che si parla solo di calcio, qui ne parlano tutti: il tassista, il barman, la commessa del fruttivendolo. Con chiunque inizi un discorso, poi parli di calcio, anche se chiedi un’indicazione, loro ti spiegano e poi prima di lasciarti andare ti chiedono a che squadra tieni, secondo la tua risposta devi dedicargli – minimo – dai cinque ai dieci minuti, è incredibile ma è proprio così, uno ti canta l’inno dell’Huracan, l’altro ti dice che il San Lorenzo è la più forte ma sfortunata, poi trovi quelli di River e Boca e in questo caso è un cinema.
Altra piazza altra sosta, siamo alla Biela, un noto locale dedicato a Manuel Fangio, alle pareti sono appesi pezzi di motore, vari tipi di bielle (da qui il nome del locale) e tantissime foto di Manuel Fangio, un museo. Sono ormai le 19 e sono un po’ stanco, le quindici ore di volo e il fuso di cinque ore si fanno sentire ma non mollo, mi faccio accompagnare in hotel, ricarico il cellulare e l’i-pad e sono pronto per la cena, destinazione San Telmo, ristorante La Brigada.
LA BRIGADA E LE RELIQUIE DEL FUTEBOL – La Brigada merita due righe di descrizione, è un ristorante su tre piani, frequentato da tutti i personaggi della capitale. Tra i vari arredi coloniali, sono esposte oltre mille maglie indossate da tanti grandissimi campioni, una parete lunga circa venti metri è dedicata a Diego Armando Maradona, Leo Messi e Claudio Paul Caniggia. Ci sono le loro maglie di varie epoche autografate ma anche palloni, scarpe da calcio e altri oggetti personali dei calciatori. Per farvi capire bene la mia serata, ho mangiato in dieci minuti e sono rimasto alla Brigada per circa quattro ore, ho passato la serata a esaminare le reliquie, non ho mai visto un posto simile, nemmeno a Rio De Janeiro quando inviato di Bergamo & Sport, su indicazione di Oliviero Garlini, sono andato al ristorante Mario’s a Copacabana. Da oggi Mario’s nella mia classifica personale è il ristorante numero due al mondo, il primo è La Brigada.
Devo mettermi d’accordo con Leo Talamonti, siamo a sole due ore di macchina ma il mister ha deciso per il ritiro anticipato e con Leo non riusciremo a vederci: il Rosario gioca a Crucero del Norte, al confine col Paraguay. Ci salutiamo telefonicamente, grande Leo.
SERSEBARCACON IL MITICO CLAUDIO PAUL CANIGGIA – Tra la visione di una maglia e l’altra ricevo la chiamata di Claudio Paul Caniggia, gli dico che sono alla Brigada e lui mi risponde: “Grandissimo, sei impressionante, un solo giorno che sei qui e già hai trovato il massimo” (testuali parole). Con Claudio fisso l’appuntamento a domenica mattina, deve andare due giorni in un “country”, una specie di fazenda nella Pampas, è qui con la moglie Mariana e i suoi due figli, Charlotte e Alexander. Axel, il figlio pittore, è rimasto in Europa, Alexander e Charlotte sono protagonisti del programma tv più seguito in Argentina, Alex è diventato l’idolo delle ragazzine argentine. E’ impossibile vederci in centro città, i Caniggia’s, assaliti dalla gente per foto e autografi, per attraversare la piazza della Boca ci metterebbero ore, il nostro incontro sarà a casa loro, a Puerto Madero, in una lussuosissima residencia, la Faena. Fatto il puntello con Claudio, mi faccio accompagnare in hotel, l’indomani è sabato e sarò in tribuna per vedere il derby Velez vs Racing. Ho chiesto il sabato mattina libero, sveglia alle 7 e con i mezzi pubblici raggiungo la stazione di Olivo’s, a soli cento metri dalla residenza della presidentessa Cristina. Da lì prendo il “tren de la costa” e alle 8 sono il primo a entrare nel mercato delle pulci di “Las Barrancas”.
CIMELI CALCISTICI PER IL MUSEO ONIS – Non mi sembra vero, alla prima bancarella trovo una copia originale del “Clarin Deportivo” del 1978, il giorno dopo Argentina-Italia, ho il presentimento che sarà la svolta magica per il mio museo del calcio che espongo alla Onis. Bancarelle con pezzi vintage e antiquariato straordinariamente conservati e messi in vendita a prezzi accessibili. Vorrei comprare un tir di roba, da due frigo della Coca Cola anni 50/60 a distributori di caramelle fino a giocattoli in latta di ogni genere, non posso presentarmi all’aeroporto con un frigo, non mi farebbero imbarcare, così mi concentro su articoli legati al calcio. Per farvela breve in cinque ore di ricerca ho acquistato: un paio di scarpe da calcio (1930/40), due paia di scarpe da calcio in tela (1950/1960), un pallone in cuoio ripieno di giornali datati 1946,quattro figurine di calciatori su cartone (1970), varie riviste e fotografie con autografi (Welligton e La Bruna) risalenti al periodo 1910/1940, oltre a vari gadget del Mondiale 1978 e oggetti riguardanti Diego Maradona e Claudio Paul Caniggia. A un certo punto mi sono detto “fermati, così ritorni”, ho smesso di cercare tra le bancarelle anche perché mi sono rimasti i soldi solo per il treno di ritorno: ho speso tutto quello che avevo in tasca. Qui ci torno di sicuro.
SERSAO NELLA TANA DEL VELEZ – E’ l’una e mi devo preparare per la partita, torno in hotel e dopo mezz’ora son già in taxi per lo stadio, qui ogni squadra ha il suo impianto, a Buenos Aires ci sono più di venti stadi con capienza superiore ai trentamila posti, che ridicoli che siamo in Italia. Lo stadio Josè Amalfitani tiene 50mila posti a sedere, io sono nel Palco, seduto a fianco della presidenza, prima della gara ufficiale giocano le due squadre delle riserve. E’ come se da noi giocasse la Primavera e poi la Dea, stadio pieno ad esclusione delle due curve, il pres mi spiega che gli ultras entrano in corteo un minuto prima dell’ inizio: è uno spettacolo, si riempiono le due curve e tutto lo stadio canta, anche in tribuna cantano in continuazione, ho ancora nelle orecchie “Soy de Velez” , un casino infernale, quelli del Racing saranno circa ottomila con oltre centocinquanta tamburi enormi e cantano il loro inno per tutto il match. Una cosa assurda: gli ultras fanno le trasferte in pullman, sì ma non come da noi, qui sul bus da 50 posti salgono in 100, appesi ai finestrini, sul tetto, si aggrappano dappertutto. Formano una colonna di bus, ho contato quelli del Racing e mi sono fermato a 75, tutti con la maglia della loro squadra, tutti che cantano e mentre i pullman percorrono le strade del centro dai finestrini partono fuochi d’artificio. Vero, tutto pericoloso ma mi è piaciuto un casino. Sarà ma io mi sento vicino alla Curva Nord, sono ultrà dentro e penso che si vive una volta sola e che il nostro istinto deve essere libero, per me è: ultras liberi. Dentro lo stadio non so più cosa fotografare o filmare, una bolgia continua. Non ho mai visto niente del genere, pazzesco e bellissimo, a chiunque visiterà l’Argentina consiglierò di vedere assolutamente una qualsiasi partita della Primiera Division. Nell’intervallo percorro i corridoi interni dello stadio, pieno di gigantografie dei giocatori che hanno fatto grande il Velez, trovo diversi mega posters di Maxi Moralez, mi organizzo per farmi scattare qualche foto. Vince il Velez uno a zero, gol di Pratto, l’ex del Genoa. In tribuna si è sparsa la voce della mia presenza e dopo la partita vengo intervistato da Velez TV, in veste di presidente del Berghem Soccer Team e tifoso dell’Atalanta. Mi chiedono come giudichiamo Moralez a Bergamo, per loro, intendo per gli argentini tifosi di tutti i club, Maxi Moralez è un grande campione e secondo la stampa il Velez non ha ancora trovato un degno sostituto. In Argentina i tifosi sono fedeli alla maglia, per nessun giocatore ci sono cori, qui conta solo la maglia. Personalmente stimo tantissimo Maxi Moralez, per me è fortissimo. Dopo la partita, con alcuni giocatori, Peruzzi (nazionale argentino) e Centurion (classe 1993, migliore in campo) siamo andati a cena in un locale a Palermo, l’878, uno dei locali frequentati dai giocatori. Da fuori sembra l’entrata di un palazzo, ha il portone in legno, non diresti mai che dietro il portone c’è un locale. All’una sono distrutto, taxi e hotel, domenica mi aspetta un altro mega tour: gita in barca sul delta del Rio Paranà e poi super classico: River Plate vs Boca Junior. Mammamia. Mi sveglio alle sette, colazione e poi ci mettiamo in viaggio, dopo soli quindici minuti siamo nella zona del Tigre, vicino a Banfield e Lanus.
Viene considerata provincia di Buenos Aires ma non abbiamo percorso un metro senza una casa o un negozio. Abbiamo appuntamento al centro nautico del Tigre, vi dico il numero civico: 26488. Avete capito bene, ventiseimilaquattrocentoottantotto, me ne sono accorto al terzo giorno, qui ci sono vie con oltre quarantamila numeri civici. Provate a vedere su Google Earth.
Pensavo uscissimo in gommone, invece ci aspetta uno yacht di 15 metri, siamo in cinque e risaliremo il fiume per circa cinquanta kilometri, la navigazione completa è di oltre centomila km, la lunghezza navigabile fino al confine col Paraguay e di circa duemila km. Le rive del fiume sono contornate da villette in legno, una ogni cento metri circa, tutte con un bel prato, il molo privato e la folta vegetazione. E’ un posto bellissimo, mentre risaliamo il delta incontriamo anche alcuni centri nautici con spiaggia e ombrelloni, l’acqua è marrone, il fondo lo immagino fangosissimo eppure alcuni di loro fanno il bagno, qui mi rifiuto, ho visto pescare una carpa che sembrava uno squalo, sarà stata lunga un metro, col cazzo che metto i piedi in questa brodaglia. Mentre navighiamo, si beve, si mangia, preparano un asado e si parla di calcio, oggi si gioca il “superclasico”: Boca-River. Abbiamo i biglietti in tribunamaqua alle dieci del mattino sono tutti già in clima prepartita. Asado in barca e birra a volontà: beh, è proprio un bel vivere.
IL “SUPERCLASICO” – E’ giunta l’ora, si va allo stadio del River, mentre ci avviciniamo incontriamo una colonna di tifosi del Boca, saranno duecento pullman strapieni ma anche trattori, bilici, betoniere, ogni mezzo che può trasportare gente viene utilizzato. La trasferta è di soli 4 chilometri, per noi sarebbe inconcepibile. Ho fatto un filmato con l’Ipad, appena arrivo a Istanbul in hotel con wifi lo pubblico su facebook. Quelli del River arrivano in treno. Sì, questi giocano in casa ma mentre sono in autostrada e corro parallelo alla ferrovia, affianco diversi treni diretti allo stadio pieni di maglie biancorosse. Sono allibito. Arrivo allo stadio dalla parte dell’autostrada, per circa cinque chilometri ai due lati della rialzata vivono oltre centomila persone in una baraccopoli immensa. Le costruzioni di mattoni e lamiera sono arrivate al quarto piano, praticamente se sei in taxi e stai al finestrino sei a tre metri dalla favela, da non credere. Mentre sorpassiamo lentamente la fiumana di maglie biancorosse, arriviamo allo stadio del River: è un catino tutto esaurito, i tifosi (hinchos) saltano e cantano, come le braccia al cielo e distese verso il campo cantano cori all’infinito. Alle formazioni nessuno ci fa caso, non le ascoltano nemmeno, entrano gli arbitri e vengono ignorati, entra il Boca e poi è il turno del River, dalle curve si sente un boato, partono i fuochi d’artificio, e vengono lanciati in campo migliaia di rotoli di carta igienica con tantissimi coriandoli. La coreografia è magnifica. La partita è dura, si danno botte a ogni intervento, qui per derby si intende quello col quartiere (barrio) confinante. Il River segna, poi raddoppia, manca mezz’ora alla fine, le due tifoserie continuano a cantare ininterrottamente, chi vince e chi perde: non si ferma nessuno. Al 35′ del secondo tempo, rigore per il Boca. Gol, anzi “gooooooooooooooooooooooollllllllllllll, gooooooollllllllll!!!!” come urla il radiocronista seduto dietro di me, fino alla fine il tifo è assordante, non riesco a parlare con chi mi sta a fianco. Poi all’ultima azione trequarti di stadio ammutolisce e i 15000 del Boca impazziscono: 2-2. Palla in rete e l’arbitro fischia la fine, ma la gente continua a far festa, non sono in grado di descrivere la situazione. Una mazzata per i tifosi del River, eppure dopo un attimo di sconforto tutto lo stadio inizia a cantare mentre i tifosi del Boca escono. Penso che una partita come questa la puoi descrivere in un libro, ci sono mille sfaccettature da raccontare, tipo la nonna che avevo seduta davanti a me: mi ha detto di avere 79 anni e che segue il River da 70 primavere, maglia con il numero 6 e a fine partita era senza voce. Fantastica.
Sono esausto e ho ancora un altro impegno, a cena si parlerà di affari e progetti. E’ probabile che in Argentina ci si andrà più spesso. Siamo al termine di un viaggio meraviglioso, purtroppo avevo poco tempo a disposizione ma io sono fatto così, andrei da Milano a New York solo per bere un caffè.

E ORA SI VOLA IN TURCHIA – Mentre vi scrivo sono le otto di lunedì mattina, in Italia sono le tredici, sto aspettando Claudio Caniggia e Mariana, faremo colazione insieme poi alle dieci arriverà un autista a prendermi, una tappa veloce alla Boca e poi andremo in aeroporto. Ho da fare 13 ore per arrivare a Londra e poi ne ho altre quattro per arrivare a Istanbul. Sarete tutti felici di sapere che non ho venduto nessuno dei campioni del Berghem Soccer Team, anzi grazie a una telefonata di Caniggia, mi sono incontrato con Diego e… ha firmato un triennale con noi. “Diegooo, Diegooo!”, immagino già la ressa di gente che verrà al catino di Orio quando con l’elicottero (preso in comproprietà da Giggifoppa, Umbe Bortolotti e Evro’o) Diego atterrerà al centro del campo con al collo la sciarpa nerazzurra del Berghem Soccer Team. Diego arriverà a giorni, farà le visite mediche e il controllo del DNA alla farmacia Frizzi. Poi sarà a fianco di Caniggia e Gabbiaden nell’attacco micidiale del BST.
Un saludo a todos Sersao Rovesciatao