Certuni mi hanno suggerito di fare il VTV. Che cosa significa quella sigla? Vuol dire Verificatori Titoli di Viaggio, coloro più comunemente definiti i “controllori”, quelli che salgono sul pullman in tre o quattro e si assicurano che i passeggeri abbiano titolo per spostarsi con quel mezzo da un punto A ad un punto B. Mi hanno detto che “tu andresti bene a fare quel lavoro, sei diplomatico, ci sai fare con la gente”. Risposta mia: nemmeno sotto tortura.
Devo dire che chi mi ha suggerito il “salto” sono altri colleghi, con altre mansioni come la mia, quella di umile autista al servizio della collettività, non mi è mai stato proposto da un VTV di entrare nella loro squadra, ma la mia risposta non cambierebbe. Alcuni li definiscono come una casta, un’élite, personaggi superiori descritti addirittura come gente che ti guarda dall’alto in basso. Io sinceramente non ho ravvisato questa distanza, non ho riscontrato questa difficoltà di rapporto, forse grazie al mio carattere affabile o, più probabilmente, per il fatto che ho occupato abusivamente una sedia alla loro scrivania dove compilano i rapporti della giornata, un posto nella loro saletta, l’unica con una presa di corrente a cui attaccare il mio computer portatile per fare ciò che amo, ciò che mi aiuta a sopravvivere: la scrittura.

Sinceramente a me piace pensare che entrambe le ipotesi mi abbiano aiutato a conoscerli meglio come persone, ad osservarli quando salgono sull’autobus, ad ascoltare la gentilezza con cui chiedono agli utenti se possono mostrar loro il titolo di viaggio, che sia biglietto cartaceo o elettronico, abbonamento o certificato, ascoltando talvolta gli insulti di coloro che ne sono sprovvisti. Ho sentito con le mie orecchie offese pesantissime che loro si devono portare a casa senza reagire, parolacce per cui inorridisco al solo pensarci, persino ora che sto pigiando i tasti del mio pc ho dovuto fermarmi un attimo perché mi tremavano le mani. Prender l’autobus non dev’esser visto come un diritto ma come un servizio a cui accedere munendosi appunto di un regolare Titolo di Viaggio. Loro, i VTV, hanno il potere di chiedere i documenti in caso d’infrazione e, dove non vi sia collaborazione, l’obbligo di chiamare le forze dell’ordine che, in base alla disponibilità, intervengono più o meno celermente, palesando anche questi ultimi l’idea di “mani legate”, beccandosi talvolta anch’essi offese senza reagire perché, e qui sto attento a dirlo, purtroppo i trasgressori sono spessissimo gente di colore che, con il loro atteggiamento oltraggioso, infangano soprattutto coloro appartenenti alla stessa etnia che vivono con rispetto e amore per il nostro meraviglioso Paese. La possibilità per gli agenti d’esser definiti razzisti da “benpensanti“ e falsi moralisti semplicemente perché ottemperano al loro dovere è di una facilità impressionante e, a mio avviso, assurda. Non entro ulteriormente nel merito perché non è mia intenzione sollevare una polemica però, se mi è consentito, suggerirei di dare un po’ più di potere ai nostri tutori dell’ordine.

Riporto ora un episodio di cui non sono stato testimone ma di cui sono venuto a conoscenza, che è più che sufficiente affinché io non diventi mai un verificatore. Un giorno, dopo un controllo di routine sull’autobus, viene ravvisata la trasgressione di alcuni personaggi di dubbia provenienza, un uomo e una donna con in braccio un neonato, ai quali, secondo prassi, vengono chiesti i documenti. La madre non è assolutamente collaborativa e, dopo una serie infinita di ingiurie, usa la sua creatura come scudo per riuscire a far breccia tra il blocco dei nostri agenti Atb e scendere dall’autobus, mettendosi a gridare ai quattro venti che “loro” le avevano messo “le mani addosso”, scoprendosi una parte di seno. Intanto il marito, o presunto tale, era impegnato a filmare l’accaduto col suo cellulare ma, non appena ne vede la possibilità, fugge a gambe levate. La donna, invece, cammina spavalda reggendo lo scudo umano, il suo piccolo, raggiungendo le case popolari nei pressi della fermata. Un nostro VTV la segue, soprattutto per assicurarsi non succedesse alcunché alla creatura perché la madre, incurante del traffico, attraversava pericolosamente la strada. Ad un tratto nel cortile della sua probabile abitazione compare un tizio dall’accento marcatamente meridionale che, con fare intimidatorio, insulta pesantemente il nostro collega gettandogli in viso la sua sigaretta accesa, dicendogli “ti auguro di morire presto di tumore” assieme ad altre sciccherie del tipo “ti ammazzo” seguito dalla definizione “figlio di puttana”, tanto amata non solo da personaggi del genere. A quel tale si aggiungono altri facinorosi sicché il nostro VTV capisce sia meglio allontanarsi per evitare il peggio.
Non intendo commentare l’accaduto, anche perché non ho parole. Lascio a chi vuole l’onere di farlo, mi aspetto però di ricevere la definizione di razzista che ultimamente fa tanto moda.