Parto dalla redazione all’una di pomeriggio, immaginando i miei due popini affamati, uguali uguali ai pulcini quando si mettono col becco aperto. Siamo all’inizio di settembre e Bergamo è tutta un cantiere perché il Comune si è messo a rifare qualsiasi strada.
C’è una deviazione e sono quindici minuti in coda tondi tondi, poi l’operaio mi dà il via con la paletta verde, strumento fighissimo che pensavo potessero avere solo i vigili urbani. Sento che l’attrezzo che ha in mano mi piace da matti e che potrebbe essere utilissimo sia per sistemare il traffico che c’è qui nel nostro ufficio che quello che si crea in casa le sere che arrivano a far casino Vlad, Stephan e Rusnak, la famosa banda dei giovani calciatori slavi. Chiedo al muratore: “Tu la paletta dove l’hai comperata?”, e lui non mi mena, anzi mi risponde in modo gentile nonostante sia un vichingo alto, biondo e muscoloso, probabilmente uno della Curva, un ragazzone che potrebbe tranquillamente spiezzarmi in due, immagino diventato un gigante costruendo villette in chissà quale landa desolata delle Orobie Brembane. Dice con un sorriso da denti bianchi e dritti che sicuramente in gioventù hanno visto più di un apparecchio: “Me l’hanno data in azienda, ma penso che tu la possa trovare anche dai cinesi di via Baioni”. Uella, corretto, forbito e disponibile, insomma severo, ma giusto. Vorrei quasi chiedergli se la domenica ha voglia di scrivere per noi, ma non lo faccio perché ho in testa i miei pistolini, affamati e allo stremo per colpa mia. E riparto al volo.
L’una e mezza, nel borgo non si entra perché stanno sistemando pure viale Giulio Cesare, faccio due giri alla cazzo, perdo la speranza e lascio la Pandona di fronte alla Questura. Da lì inizio a correre nonostante abbia il ginocchio destro malandato per via di un calcio preso martedì scorso da un certo Clima, fortissimo a pallone e che credo debba il suo soprannome al fatto che passi la vita a sistemare condizionatori. Sudo e le mie Spadrillas verdi s’impregnano del piacevolissimo odore di taleggio che hanno i miei piedi quando mi capita di essere in affanno. Arrivo al Carrefour, il responsabile, un bravo tipo, appassionato di ciclismo, mi tira la balla: “Ganna e Consonni sono il futuro, due fuoriclasse…”. Faccio il sordo e tiro dritto, immaginando i miei due figli storditi sul divano perché privi di forze, denutriti, da un’oretta in compagnia di sette assistenti sociali che mi aspettano per arrestarmi. Prendo gli Spatzel, la panna e il formaggio grana. A causa del senso di colpa anche una boccia di Coca Cola. Con nonchalance supero una vecchina davanti a me, che mi guarda male, ma accetta in silenzio la mia angheria, e pago col bancomat per fare prima.
Sono le due del pomeriggio. Ho accumulato il mio solito ritardo, quell’ora abbondante. Apro il portone, faccio le scale manco fossi Jacobs e sono lì, col fiatone, ma felice che ce l’ho fatta anche stavolta.
E li vedo a tavola, tranquilli e rilassati, con Zeno, tredici anni, che mi chiede se deve mettere un posto anche per me: “Ho fatto due penne con panna e zafferano. Il soffrittino mi è venuto da dio, ma forse è per l’aggiunta di quel pizzico di peperoncino che non guasta mai…”. Assaggio, pottana se sono bone le sue pennette, che io so solo fare piatti talmente unti che paiono usciti dal radiatore di una Squalo, la maghina fichissima assemblata un tempo dalla Citroen. Nel frattempo Vinicio, quindicenne stupendo, mi fa una domanda: “Ma stasera ti va di parlare un po’ del Capitale, che ho voglia di far capire bene bene il pensiero comunista alla mia Cate (la sua ragazza, ndr)?”.
E io penso a mia mamma, che, ancora, quando mi vede passare a Valgreghentino, mi sfama e mi coccola grattandomi il crapino, apparecchiandomi la tavola pure alle tre di pomeriggio, che mi tocca fare due pranzi in fila, lei che mi vede in crescita, patito e magrettino anche se ho 44 anni, la panza e peso ottantasei chili. E penso che questa cosa ce l’ho addosso anch’io ed è davvero una bellezza.
Matteo Bonfanti

Nella foto: io e i miei due figli mercoledì sera dopo aver giocato a pallone