Un gruppo irripetibile di giocatori, per un’impresa che non trova eguali in tutta la storia del calcio italiano. La più recente, tanto più con le ristrettezze vissute, sia in ambito di club che di Nazionale, nell’ultimo decennio, eppur la più memorabile. Vuoi perché a compierla è stata l’”Eterna Seconda” del pallone nostrano e vuoi perché, per ritrovare l’Inter in cima al tetto d’Europa, si è dovuto attendere ben 45 anni. Dalla Coppa dei Campioni del 1965 alzata dalla “Grande Inter” di Angelo Moratti e del “Mago” Herrera alla Champions League sollevata sotto il cielo di Madrid il 22 maggio 2010 da Massimo Moratti, figlio di Angelo, e dallo “Special One” di Setùbal, Jose Mourinho, approdato alla corte nerazzurra per arrivare laddove i predecessori, Roberto Mancini in primis, non erano riusciti. Erano gli anni post-Calciopoli e dalla mannaia della giustizia, ordinaria e sportiva, era uscita illesa praticamente solo l’Inter, l’unica dunque in grado di garantire continuità al progetto tecnico. Tanti i campioni succedutisi, ma immancabilmente l’ebbrezza per il titolo in ambito nazionale veniva azzoppata dalle croniche difficoltà in campo europeo, nel periodo segnato dalla supremazia inglese – vedasi le Champions di Liverpool e Manchester United – e dall’avvento di Leo Messi e del tiki taka di Pep Guardiola. Dopo i tre scudetti vinti con Mancini in panchina – due sul campo e uno a tavolino, a seguito delle sentenze di Calciopoli – l’arrivo di Mourinho si affianca al già formidabile impatto garantito da Zlatan Ibrahimovic, re del gol in nerazzurro con i venticinque centri realizzati nel campionato 2008-2009. Tuttavia per l’Europa non basta e l’eliminazione subita agli ottavi di Champions dallo United di CR7 certifica il tabù da sfatare. Serve qualcosa di speciale: e chi meglio dello “Special One”, confermatissimo sulla panchina nerazzurra, è in grado di fornirlo? Così è la rosa dei giocatori a essere rivoluzionata e il primo nome eccellente assurto sull’altare del sacrificio è quello di Ibra, ceduto a peso d’oro al Barcellona, nell’ambito di una trattativa che porta in nerazzurro il camerunense Samuel Eto’o: uno che se ne intende di Triplete, avendolo festeggiato in maglia blaugrana nella stagione precedente. Sarà la mossa decisiva, ma chiaramente, in termini realizzativi, il quattro volte Pallone d’oro africano non basta. Qui si innesta il più ampio lavoro di rafforzamento compiuto dalla società – alla direzione tecnica si segnalano due ex interisti d’eccezione, come “Lele” Oriali e Marco Branca – che contempla l’arrivo di altre pedine di spessore. Dal Bayern Monaco arriva il centrale brasiliano Lucio, dal Real Madrid ecco il fantasista olandese Wesley Sneijder; ma, soprattutto, a mo’ di blitz sottaciuto ma dall’impatto disarmante, dal Genoa approdano il centrocampista Thiago Motta e il cannoniere Diego Milito. Proprio lui, “El Principe”, risulterà il vero ago della bilancia, con 30 reti di importanza capitale. L’inizio non appare dei più incoraggianti, con la sconfitta in Supercoppa Italiana per mano della Lazio, e il pari casalingo con il neopromosso Bari nella gara inaugurale del campionato. Ma già alla seconda giornata, inizia a intravedersi il potenziale di una squadra costruita per fare incetta di trofei. E’ già tempo di derby e contro il Milan dei brasiliani lo scontro-verità racconta un clamoroso epilogo: 4-0, frutto delle reti di Thiago Motta, Milito, Maicon e Stankovic. Solo la Juventus e la sorprendente Sampdoria di Delneri, con Cassano e Pazzini in avanti, riescono almeno inizialmente a tenere botta, ma col tempo il divario si fa lampante e si fatica a intravedere una reale antagonista, nonostante le velleità abbozzate da Roma e Milan. Più complicato il cammino europeo, con tre pareggi, nelle altrettante gare d’andata del girone di qualificazione, che ricomprende i nerazzurri con Barcellona, Rubin Kazan e la Dinamo Kiev di un rivale mai domo, quale l’ex milanista Shevchenko. I soli tre punti raggranellati fanno scattare l’allarme, ma a togliere le castagne dal fuoco ci pensano i successi di Kiev, con rimonta sancita nei minuti finali da Milito e Sneijder, e la vittoria casalinga sul Rubin firmata da Eto’o e “Super Mario” Balotelli, sempre più croce e delizia. Ottenuto il pass per la seconda fase, gli uomini di “Mou” si giocano tutte le loro fiches sulla Champions League e il campionato inizia gradualmente a risentirne, anche per l’impetuoso forcing dettato dalla Roma di Luciano Spalletti. Così in Europa l’Inter compie il suo primo vero capolavoro, con la doppia affermazione agli ottavi sul Chelsea di Carlo Ancelotti, ma in campo nazionale conosce l’onta del sorpasso, comminato dai giallorossi. L’episodio è quanto mai effimero, perché la vittoria con l’Atalanta riporta in vetta Zanetti e soci, mentre la cavalcata in ambito continentale passa per l’1-0 imposto, sia all’andata che al ritorno, al CSKA Mosca. A sette anni da quell’indigesto doppio pareggio, valso l’eliminazione per mano dei cugini-rivali rossoneri, l’Inter ritrova le semifinali di Champions. Serve l’impresa per battere i campioni in carica del Barcellona, imbottito di stelle, tra cui Messi e Ibrahimovic. E il doppio confronto, imbastito tra “Meazza” e Camp Nou, è bello che finito nella storia degli incontri più celebrati di sempre. All’andata Pedro sembra ammazzare i sogni di gloria, con un gol in trasferta che suona pesantissimo, ma i nerazzurri si ricompongono e infilano un tris dal puro furore. Sneijder pareggia i conti nel primo tempo; nella ripresa Maicon e Milito – più di un dubbio per la sospetta posizione di fuorigioco del “Principe” – inchiodano il punteggio sul 3-1. Se il primo atto è stato un’impresa, il return match assume i connotati del racconto epico. I catalani devono segnare almeno due gol, ma nonostante la superiorità numerica, e nonostante i lunghi frangenti votati all’assedio, trovano un guizzo isolato, con Piquè reinventatosi goleador di razza. Due almeno gli episodi passati alla storia: la sceneggiata di Busquets sull’espulsione di Thiago Motta e l’arretramento di Eto’o sulla linea dei difensori, nell’infuocato finale di un match infinito, che al dunque premia gli uomini dello “Special One”. Siamo dunque all’ultimo giro di una stagione memorabile e in un fazzoletto di giorni l’Inter passa all’incasso, grazie al suo “Principe”. Il 5 maggio, all’Olimpico di Roma – data e sede infauste, visto il precedente del 2002, con Scudetto sfilato all’ultima giornata dalla Juventus – conquista la Coppa Italia, grazie alla vittoria sulla Roma, firmata Diego Milito. Il 16 maggio, lo stesso attaccante ex Genoa sancisce, con capitan Zanetti monumentale assist-man, il successo di Siena, oltre che il quinto Scudetto consecutivo: l’ultimo dei diciotto fin qui conquistati dal sodalizio del Biscione. Dulcis in fundo, 22 maggio, il trionfo, l’apoteosi, per un progetto tecnico e per un’annata senza eguali. Finale di Champions League, al “Santiago Bernabeu” di Madrid. Contro il Bayern Monaco, decide la doppietta di un sempre più regale “Principe”. Un gol per tempo: il primo su suggerimento di Sneijder, il secondo è un sontuoso assolo che manda a viole Van Buyten e spegne definitivamente le speranze bavaresi. Fine-corsa, non ci sono i margini per costruire un’Età dell’Oro e il primo a intuirlo è l’allenatore, tanto che Josè Mourinho dichiara già nella serata madrilena di non voler continuare con i nerazzurri. Resta però la storia, in cui entra di diritto quella squadra. Resta l’impresa senza precedenti: resta il Triplete, mai costruito da nessun’altra in Italia.
Nik

(foto inter.it)