Sono tre giorni che prima di addormentarmi mi faccio sempre la stessa domanda, ovviamente senza riuscire a darmi la benché minima risposta. Verso le undici mi metto sul mio terrazzino col bicchierozzo di Amaro del Capo e sto lì a riflettere mentre guardo la bellissima luna di questo periodo che sta sul tetto della casa di fronte. Mi chiedo come sarà l’Italia una volta che sarà passato il covid, quando ognuno di noi avrà fatto il vaccino. Sarà come era prima o diventerà una via di mezzo con un po’ di cose che piano piano sono entrate a far parte della nostra normalità?
Intanto io, che sono uno zingaro e che questa vita molto virtuale la pago da matti. Anche grazie al mio lavoro, quello del giornalista, ho passato la mia esistenza a vedere ogni cosa dal vivo, le partite della domenica come i concertini del sabato sera, gli attori che recitano in teatro, le cene dalla Giuliana con l’imprenditore che ci fa la pubblicità o con la sacra famiglia riunita nell’agriturismo in Valsassina in occasione della Santa Pasqua, il calcio, giocato almeno un paio di volte la settimana, l’aperitivo con Marco al Blu Puro esaminando tra uno Spritz e l’altro le varie rose delle squadre di Serie A manco fossimo due scienziati del fubal, il mare da ascoltare e da toccare almeno un giorno al mese.
Lì in carne e ossa, con altre persone fatte di mani, braccia, gambe, labbra e occhi. E mi manca tanto tanto partire, prendere la mia Pandona Aranciona a metano e farmi Bergamo-Bologna in tre ore per ascoltare le canzoni alla radio e per magnarmi d’un fiato cinquanta e passa polpettine coi piselli di mia nonna Pina, qualcosa di favoloso. Faccio fatica a non avere sorprese, che accadono di notte, la parte che più amo della giornata e che adesso è scomparsa per via del coprifuoco.
Per tutte queste mancanze vorrei tornare alla vita di prima. Ma mi accorgo in questi giorni che a moltissime persone questo nuovo corso non dispiace affatto. Non parlo del covid, che ha sconvolto ognuno di noi per via dei lutti continui che abbiamo vissuto proprio qui a Bergamo, penso a questa vita vissuta quasi interamente dietro a uno schermo, che sia quello di un telefono o di un pc o di una televisione. Ad esempio i miei figli, che sono adolescenti, amano la didattica a distanza e non vogliono tornare a scuola. C’è poi un intero gruppo di miei amici che ha scoperto l’immensa bellezza del rapporto di coppia, prima un po’ trascurato anche per i tanti impegni mondani. “Eravamo sempre di corsa – mi ha detto uno di loro –. Questo periodo ci ha fatto ritrovare. Ci massaggiamo, leggiamo un sacco di libri insieme, guardiamo i film o stiamo sui social e ne parliamo, ci dedichiamo finalmente a noi”. Sono, insomma, rilassatissimi.
E poi la mascherina, che ci ripetono che è una bella cosa non solo perché tiene lontano il covid, ma pure perché ci evita di prendere l’influenza e il raffreddore. A me fa stare male perché mi fa immaginare di avere a che fare con un intero popolo di dentisti, categoria che mi fa venire una paura fottuta. Smetteremo mai di metterla? E il distanziamento? Io sono un po’ terrone, mi piace toccare il braccio a chiunque incontro, abbraccio appassionatamente anche vecchine a caso se mi capita di trovarmele vicine in ciclabile. Quando potrò tornare a fare l’appiccicoso con la gente che ho intorno?
Capitolo calcio provinciale, il mio lavoro. Un paio di settimane fa ero in chiacchiera con un ds, un uomo appassionatissimo, dirigente di un club di Seconda categoria. Mi diceva: “Sai, Matteo, ho fatto il giro dei giocatori per sapere le loro intenzioni per l’anno prossimo, più di dieci mi hanno detto che non vogliono più giocare. Hanno scoperto nuovi interessi, chi si è messo a cucinare, chi ad andare a piedi in montagna, chi in bicicletta, chi sta seguendo i figli, chi, ancora, sta facendo corsi su corsi on line e ha iniziato a darsi all’inglese o alla fotografia…”. Magari è solo un caso, resta che mi chiedo come sarà il nostro settore finita la pandemia. Ci saranno ancora i cento e passa club iscritti alla Figc nella nostra provincia, società che tra l’altro stanno vivendo anche la drammatica fuga degli sponsor e che non stanno venendo aiutate dalle istituzioni del pallone?
Se ne scrivo è perché non ho risposte, ma dentro di me sento comunque che l’emergenza legata al coronavirus ci ha cambiato nel profondo. E anche quando qui da noi saremo tutti vaccinati, sperando che la nostra Regione inizi ad organizzarsi quell’attimo meglio, non torneremo mai più ad essere quelli che eravamo prima.
Matteo Bonfanti
Nella foto la mia Pandona Aranciona a Metano, ferma da giorni