Sapere che era proprio come dicevamo noi non attenua la mia rabbia, ma almeno mi inorgoglisce un po’ ricordando quei tempi là, perennemente insultato dai potenti e dai potentati di turno perché non c’era mai una cosa che mi quadrava e ne facevo cinque articoli al giorno, partendo dall’assurdità dei malati nelle case di riposo finendo con la sanità lottizzata dai partiti. Io, Cesare, Isaia, Marco, il mio socio qui al giornale, l’altro Marco, l’incredibile penna che scrive su Avvenire, ma che sarebbe bello avere direttore oggi all’Eco di Bergamo, tra noi forse il più puntuale per via dell’intervista ante litteram al dottor Poidomani, le due ragazze coraggiose ed estremamente talentuose, Francesca e Gessica, che ora sono a parlarne sulle reti nazionali, Luca che ha iniziato il mestiere qui da noi, quell’idea comune di noi cronisti indipendenti, la manciata rimasta senza padrini né padroni, che la strage si sarebbe potuta evitare se non avessimo avuto allora al comando Conte, Speranza, Fontana, Gallera, Borrelli, Brusaferro e Locatelli. Loro sono la colpa, non è stata la malattia, quel caos altisonante che hanno chiamato pandemia, quelli della zona rossa mai, del resto tra Alzano ed Albino non si deve fermare la produzione, ci sono in ballo un sacco di sostenitori coi contro coglioni, un milione e passa di money freschi freschi che dalla valle vanno dritti dritti all’intera politica, a Milano e a Roma, nell’intero arco parlamentare, come sempre divisi secondo le vomitevoli quote di percentuali di elettorato. Noi denunciavamo i misfatti, accoppare migliaia di poveri cristi per duecentomila bulloni diretti in America o in Cina oppure per i dieci milioni di euro di incasso che si fanno in una partita di Champions League, loro, che adesso hanno ancora mille cariche e stanno sul finto ring del Tg1 e di La7, a dirci che ci sbagliavamo, che eravamo folli, visionari che si mettono contro il fantastico e trascendentale popolo lumbard. Facevamo i giornalisti, il nostro lavoro. A me, ad esempio, uno di questi qui mi ha dedicato un intero pomeriggio di diretta su Rai Due (e io che pago il canone…). La magistratura, che già oggi ci conferma che c’era qualcosa che non andava nella catena di comando, faccia il suo corso. Individuando i colpevoli. E’ questo adesso l’importante, che non si può riportare in vita chi è morto, ma è necessario che nel dolore si faccia giustizia. Per quella che è stata la peggiore delle stragi di Stato e che ci hanno fatto vivere evitando di premere il più semplice dei bottoni, quello rosso, che ci avrebbe salvato tutti.
Matteo Bonfanti