I nostri dilettanti certo, ma anche calcio professionistico, ciclismo, ciclocross e sport invernali. E, purtroppo, inevitabilmente, tanto Coronavirus, con appressa la sequela di lutti che ci ha colpito più o meno indistintamente. Si chiude un 2020 certamente segnato da sgomento, mestizia e una buona dose di rabbia, per quello che poteva essere e non è stato, specialmente ripensando al tema della prevenzione. Accanto ai tradizionali 26 nomi, riconducibili agli ambiti più disparati, mai come in quest’occasione avvertiamo la necessità di salutare e abbracciare, seppur virtualmente, i nostri lettori, augurando loro il meglio per il nuovo anno. Che la speranza possa davvero tornare a fare capolino, vegliando sul senso di responsabilità e di sacrificio che, verosimilmente, accompagneranno ancora per un bel po’ la vita di tutti i giorni. Buon Anno a tutti i lettori!!!
Anfield Road: una premessa è d’obbligo, perché il carattere dell’impresa che deriva dall’espugnarlo non può prescindere dal pubblico, forse il più caldo dell’intero panorama europeo. Ma in tempi di Coronavirus basta e avanza così, il capolavoro compiuto Oltremanica certifica la portata del lavoro di una Dea che non smette di stupire e stupirsi. Di mezzo, ora, la smania di confermarsi, mettendo nel mirino la voglia di rivalsa dopo la sfortunata spedizione lusitana, con il pass per le semifinali di Champions sfuggito nei disgraziati minuti finali del match con il Paris Saint Germain.
Brignone (Federica): nessuna atleta italiana, prima di lei, era riuscita a vincere la Coppa del Mondo generale di Sci alpino. Lei lo ha fatto a modo suo, in un crescendo portentoso che trova origine nel 2011, con il bronzo in Gigante nei Mondiali di Garmisch. Da lì in poi tanta perseveranza; una polivalenza che, nello sport moderno, diventa merce imprescindibile; una concorrenza che suona da stimolo quando di mezzo ci sono amiche-rivali del calibro di Sofia Goggia e Marta Bassino. La sua performance, in un anno azzoppato dalla pandemia ma comunque ricco di soddisfazioni per lo sci azzurro, vale da punta di diamante per un movimento femminile in aperta ascesa.
Coronavirus: non poteva certo mancare il più nefasto protagonista di un’annata senza precedenti. Niente contatti, le debite distanze, i contraccolpi nell’economia e in una società civile chiamata costantemente a mantenere una parvenza di normalità. Anche quando, in questo folle 2020, di normale c’è stato ben poco.
Drago (Fabio): la risposta più immediata al punto precedente, a mo’ di capofila per un esercito di persone che, nonostante tutto, ce l’hanno fatta. Con l’ex tecnico di Lemine e Fiorente Colognola, ecco i vari Ettore Consonni, Bruno Piccinelli, Lucio Seghezzi. E tanti altri ancora. Dopo settimane di affanni e angoscia, nel continuo peregrinare tra una stanza d’isolamento e i tamponi atti a ricercare l’agognata negativizzazione, il sollievo garantito da una salute, se non ottimale, quantomeno ristabilita. Al dunque, il miglior messaggio di speranza, nell’attesa di un vaccino che non può comunque prescindere dal rispetto delle regole.
Ezio Bosso-Ennio Morricone: la stessa iniziale del nome diventa la stessa struggente malinconia che scaturisce con il vuoto lasciato dalla loro scomparsa. Due giganti della musica e della direzione d’orchestra, dalla storia umana che diventa essa stessa un capolavoro, oltre che un monito, per tutti noi, a combattere strenuamente, per difendere sogni, passioni e ideali.
Fausto Resmini (don): un pilastro della solidarietà e dell’accoglienza, scomparso troppo presto per una città come Bergamo che non può permettersi di ignorare la questione della grave marginalità, spesso legata a al tema della sicurezza, della sanità, delle politiche migratorie. Cappellano del carcere, sacerdote attento a collocare al centro della propria vocazione la causa degli ultimi; emblema di quella prima linea, composta da medici e infermieri, che ha pagato un conto salatissimo sul fronte della lotta al Coronavirus. Una lotta fatta non solo di cure mediche, ma anche di relazioni intessute sempre e comunque: perché la povertà, con o senza restrizioni, con o senza distanziamento sociale, non è mai andata in vacanza.
Grumellese: ciò che, con la scomparsa di Diego Belotti, appariva soltanto uno scenario, è diventato realtà con l’avvento della tormentata stagione 2020/2021. Così non ha mancato di far discutere l’uscita di scena del sodalizio giallorosso, punto di riferimento unico e inimitabile per tutti gli appassionati. Quel che ora sembra imporre il calcio, alle nostre latitudini, è il ricorso alle fusioni: strumento spesso osannato, ma al dunque temuto, nel nome di un campanilismo che non trova sempre logica. La Real Calepina, neonato club che ha raccolto sia l’eredità della Grumellese sia l’ambizione di Atletico Chiuduno e Sirmet Telgate, rappresenta nel contempo la novità più luminosa e competitiva, dall’alto del primo posto, in Serie D, con cui chiude l’anno solare.
Hart (Geoghegan): il trionfo del britannico al Giro d’Italia certifica, oltre alle anomalie derivate da un calendario scombinato dal Covid-19, il passaggio di consegne che aleggia sul ciclismo mondiale. L’età media si sta abbassando; le difficoltà in sede di pronostico hanno preso il sopravvento sui cicli di vittorie e sui “Cannibali”. Difficile aggrapparsi a delle certezze. Dal canto suo, l’Italia delle due ruote non dispera, ripartendo da Filippo Ganna, medaglia d’oro nella crono iridata di Imola.
Ilicic (Josip): protagonista incontrastato della causa atalantina, con quelle quattro reti di Valencia rimaste scolpite nel cuore e nella memoria di tutto il tifo, nerazzurro e non. Poi un prolungato oblio, dettato da problemi di natura personale, fino al vigoroso ritorno sancito dal partitone esibito nel “Christmas Match” con la Roma. Nell’attesa di risolvere la grana-Papu, e nel contempo passare all’incasso in una seconda parte di stagione che chiama a gran voce l’ambizione della Dea, serviranno come il pane il genio e l’irriverenza del campione sloveno.
Jannik Sinner: la ciliegina in coda al 2020, con il successo nel torneo di Sofia, a 19 anni e 3 mesi: il più precoce nella storia del tennis italiano. Eppure la sua parabola ascendente perdura ormai da due anni, con circa 500 posizioni scalate nel ranking mondiale, a mo’ di segnale per una consacrazione che, se non è già avvenuta, è quantomeno vicina. Gioca con una solidità mentale impressionante, manco avesse una carriera da veterano alle spalle, e lavora costantemente per crescere e migliorare ancora. Tutto lascia presagire che, al tramonto dell’Età dei “Tre Tenori” – Djokovic, Federer e Nadal – ci sarà spazio anche per l’ambizione del fenomeno altoatesino.
Kobe Bryant: con la sua scomparsa, lo scorso gennaio, si apre quella lunghissima sequela di lutti, più o meno noti, di cui avremmo fatto volentieri a meno. Con lui scompare una leggenda del basket americano e internazionale; un’icona globale che trae il maggior motivo di culto nella cosiddetta “Mamba Mentality”, raccontata minuziosamente nell’autobiografia pubblicata nel 2018. Il talento; la fortuna che comporta il poter incrociare compagni e allenatori giusti nel momento giusto – vedasi Shaquille O’Neal e coach Phil Jackson – e una fede incrollabile nel lavoro che sussiste dietro la costruzione di un capolavoro: “Il punto non è essere Kobe Bryant, ma diventare il Kobe Bryant di se stessi”.
“L’incredibile storia dell’isola delle rose”: punta di diamante del palinsesto Netflix, oltre che autentico toccasana per tutti coloro che non si rassegnano ad andare incontro a un mondo rigido, asettico, imprigionato da burocrazia e logiche meramente produttivistiche. Un caldo ritorno in quei ruggenti Anni Settanta che, oltre a inasprire i moti di piazza, innaffiarono la Penisola con una bella dose di libertà e spavalderia.
Maradona (Diego Armando): se n’è andato il più grande, il più discusso, il più tormentato. Da una parte, ha saputo imprimere una svolta imprimendo nel gioco del calcio quella connotazione fatta di polvere, baraccopoli e grandi sogni, trasformandolo così, per davvero, nello sport più popolare. Dall’altra, ha portato in auge, attraverso una biografia fatta di Scudetti, Mondiali, attivismo politico, ma anche scandali e arresti, una lezione che vale per tutti, tifosi e detrattori: tutti sapranno cos’hai fatto, nel calcio come nella vita, ma nessuno, salvo poche eccezioni, saprà mai come eri fatto dentro.
Nardozza (Simone): uomo-copertina, insieme all’eterno Mario Vitali, per un 2020 che, nei singhiozzi e nei condizionamenti dettati dalla pandemia, ha portato a galla tutta l’ambizione e l’autorevolezza di un’Aurora Seriate in chiara rampa di lancio. La Prima categoria vale da traguardo minimo per una piazza che ha tutto per tornare a imporsi.
Ondei (Ilario): tra i ritiri eccellenti che inevitabilmente quest’anno porta con sé, c’è anche quello del mancino classe ’85. Corsa, carisma, soprattutto professionalità, in un elemento abituato a ben altri palcoscenici, ma che in tempi recenti ha saputo calarsi alla perfezione presso Villongo e U.S. Sarnico. Completano il podio, ex-aequo, Michele Arrigoni, Stefano Belussi e Fabio Bonacina, con quest’ultimo che chiude al top grazie al titolo conquistato ad Almè. Il calcio brucia le tappe ma dimenticarsi di certi interpreti sarebbe una follia.
Papu Gomez: c’è qualcosa di maradoniano nella sua vicenda; toccato l’apice, al culmine di un’epopea arricchitasi, anno dopo anno, di nuovi spunti e nuove magie, ecco l’improvvisa rottura, con un mister che non lo convoca più e il tifo atalantino che gli volta le spalle. Trequartista-tuttocampista, sgusciante e ispirato, un mix particolarmente azzeccato tra Diego Armando Maradona e l’erede, per antonomasia, vale a dire Leo Messi. E una Nazionale che vale da obiettivo concreto, con i Mondiali del Qatar sullo sfondo, per una convocazione che sa di ultima spiaggia, per un elemento consacratosi un po’ tardivamente e che evidentemente deve molto all’Atalanta allenata da Gian Piero Gasperini. Per una Dea al top dei consensi, una delicata gatta da pelare. Per il “Papu”, un brusco ritorno alla vita reale, dopo i fasti vissuti in campo e dopo i troppi click che, in ambito di social, ne hanno condizionato credibilità e professionalità.
Quarantena: parola tristemente in voga. Che sia una drammatica convalescenza in ospedale, o un più blando periodo di isolamento tra le mura domestiche, permane lo sconforto dettato dall’impossibilità di abbracciare i propri cari. Concetto che va ben al di là che di quell’apparente sospensione che porta con sé. Dati i rischi sul lungo termine, il rischio di assistere a traumi o disturbi dello svariato tipo, nelle nuove generazioni, è più che concreto.
Rossi (Paolo): capostipite dei bomber che, sulle ali della leggerezza, hanno saputo trasformare in gol e allori le aspettative di un’intera Nazione, ci lascia pochi giorni dopo Maradona e qualche affinità è persino ipotizzabile. Anche in questo caso, il fisico non è propriamente ortodosso per il gioco del pallone. Eppure, la sua velocità, la lettura intelligente che sapeva dire su ogni traiettoria, la capacità di non precludersi nulla, nemmeno dopo la squalifica comminatagli per le vicende del Calcioscommesse, gli valsero un ruolo da trascinatore nella Nazionale di quel Mundial vinto nell’82. Una selezione non certo composta da stinchi di santo. Ma non c’erano divi o divismi e le primedonne lasciarono presto il posto a un’unione di intenti che ancora oggi sussiste dietro ogni piccolo grande miracolo sportivo. Que Viva Pablito!
Sala (Micheal) – Sana (Luca): lo stesso ruolo, la stessa assonanza….con il successo. L’uno ha guidato l’attacco dell’Almè verso un titolo che sa di storia; vuoi per il cronico equilibrio che caratterizza l’andamento dei campionati in Prima categoria e vuoi per il percepibile salto di qualità offerto dalla società gialloverde, oggi matricola terribile in Promozione. Per il puntero classe ’93, una prova di forza che profuma della consacrazione, dopo le valide avvisaglie offerte in una prima parte di carriera cui è mancata solo la ciliegina. L’altro, classe ’97, l’enfant prodige dei tempi della D a Ponte San Pietro, ha ritrovato sul campo continuità e divertimento, ritrovandosi autentico trascinatore in quella macchina da gol chiamata Amici Mozzo. E anche in questo caso, il salto di categoria non fa poi troppa paura, trattandosi di realtà ormai collaudata, pronta a far leva sull’entusiasmo ma anche sull’esperienza.
Tabaku (Erdit): in un lodevole tutt’uno con il fidato compare del gol El Mansoury, nome non nuovo per questa rubrica. A Loreto hanno segnato e incantato; poi la pandemia, con la chiusura anticipata dei tornei e la separazione, con il talento albanese approdato al Paladina. I due, in separata sede, continuano a dettare legge in una Prima categoria sempre più avvincente, anno dopo anno. Menzione a parte per El Hadji Gningue, sostituito a Gorle proprio da El Mansoury e abile a mantenersi su standard stellari anche alla Gavarnese, in Promozione.
“Un’idea di felicità”: pur lontano dalla nomea concessa da romanzi come “La Gabbianella e il Gatto” o “Il Vecchio che leggeva romanzi d’amore”, offre, oltre che interessanti spunti su politica, gastronomia ed ecologia, un profilo particolarmente curato di Luis Sepulveda, scomparso il 16 aprile 2020 ad Oviedo. Scrittore, giornalista, attivista e tanto altro ancora: ci piace ricordarlo pochi anni or sono in Santa Maria Maggiore, in Città Alta, quando ancora ci si poteva sedere gomito a gomito per ascoltare i giganti della letteratura.
Valerio (Aldo): ci ha lasciato nel periodo più cupo, in quel mese di marzo che ha visto Bergamo e i suoi abitanti falcidiati dal Coronavirus. Una delle figure storiche per l’ambiente atalantino, dall’alto degli oltre 50 anni di esperienza in nerazzurro. Ma non è tutto, perché il ricordo di una persona competente e affidabile rimanda anche all’impegno assunto nel dilettantismo, con gli anni trascorsi al servizio dell’Aurora Seriatese, valsogli nel 2004 il prestigioso Premio Sensi.
Wout van Aert: un’altra dimostrazione della polivalenza necessaria per imporsi nello sport moderno. Tre volte campione di ciclocross, si impone su strada, in un fazzoletto di giorni, alle “Strade Bianche” e alla “Milano-Sanremo”, confermandosi ad alti livelli sia al Tour de France sia al Mondiale di Imola, dove chiude secondo sia la prova in linea che quella a crono. Se per il belga sarà vera gloria o meno, sarà il tempo a dircelo. Ma intanto ecco bella che servita una succulenta rivalità – in stile Coppi-Bartali – con l’olandese Van der Poel e il francese Alaphilippe.
Xena: il dramma occorso, con la morte della figlia, a Luis Enrique è dello scorso anno, ma da pochi mesi a questa parte l’ex tecnico della Roma ha ripreso ad allenare, tornando a sedersi sulla panchina della Nazionale spagnola, prossima avversaria dell’Italia nella final four di Nations League. Mai come adesso è importante restare umani. Mai come adesso – basti pensare a vicende più prossime, quali quelle accadute al Papu o a Ilicic – è importante ricordare che siamo tutti comuni mortali, con tanti pregi ma anche immense fragilità.
Yuri Cortesi: settimo alloro conquistato in carriera, con il salto in Eccellenza compiuto a San Giuliano Milanese. E, se ci fosse un riconoscimento per la miglior performance sotto lockdown, il titolo spetterebbe a lui: guardarsi alla Tv i dilettanti messicani che giocano con il campo in salita non è esperienza da tutti i giorni. Infine, il passaggio all’Inzago: squadra che non fa mistero di puntare in alto, ma che non perde la buona abitudine di ridere e scherzare, tra le tante esasperazioni che oggi come oggi appaiono fuori luogo.
Zanardi (Alex): quanta mestizia da quel 19 giugno, data del terribile incidente che una volta di più ha messo a dura prova un autentico eroe dello sport nazionale. Negli ultimi giorni si è riaccesa la fiammella della speranza, con quel pollice all’insù e la mano che stringe in un commovente quadro che rimanda, una volta di più, alla sua feroce determinazione. Se è vero che il 2021 dovrà per forza di cose essere un anno migliore, ci aspettiamo ulteriori miglioramenti e la fatidica luce in fondo al tunnel, per un campionissimo la cui storia umana, oltre che sportiva, è un chiaro invito per tutti a non mollare mai.
Nikolas Semperboni