C’è che per me Bergamo è un luogo magico, uguale uguale a come la mia Giuliana racconta nel menù il suo tiramisù, un dolce unico al mondo, solo nella trattoria di via Broseta, l’unico che, se sei giù, ha il potere di tirarti su. Così queste infallibili mura, casa mia, in Borgo Palazzo, la tana di via Malfassi, quelle che ho lasciato, in Borgo Santa Caterina, quelle dove lavoro, nel quartiere di San Paolo, la gente più di tutto, più di ogni altra in Italia, compresi i miei figli, due bergamaschini. Sono un insicuro cronico per via di genitori troppo grandi e giustamente convinti, o, forse, perché da ragazzo ero abbastanza confuso, parecchio scellerato e assai pessimo in fisica e in matematica, o, ancora, perché a Lecco, dove sono nato, all’epoca scrivere era sempre servire dei padroni. E io coi potenti non ero buono e non lo sono manco adesso. Sono un libero. Se crollo, e mi capita, Bergamo se ne accorge, mi ascolta venendomi vicino vicino, si collega al mio cuore e trova il suo strambo e fantastico modo di coccolarmi, quasi fosse un personaggio di un cartone di Walt Disney, un genio della lampada, il migliore che ho conosciuto mai. Era l’altro ieri, ero accigliato, ero malincomico, ero seduto ad ascoltarmi gli allenatori bergamaschi nel loro cinquantesimo. Sentivo Nado, i suoi racconti, la sua voce profonda, la sua sensibilità, l’anima del mestiere, ed era già un’esistenza migliore, zeppa e sopraffina, tra vicoli di speranza. Finito, mi sono alzato in piedi. In tre, persino l’Oscar che ha marcato Van Basten, mi hanno fermato, “fai una foto con me, leggerti è un piacere, sei unico…”. Già lì la meraviglia, che in un attimo mi sentivo una rock star, tipo Freddy Mercury, e poi gli altri abbracci, quello di Capozzi, uno dei colleghi too much, troppo bravo a mettere le frasi in fila, che mi ha pure immortalato di nascosto, e le idee, quella che la condizione necessaria e sufficiente per essere un bravo mister sia l’amore sempre e per sempre per i propri ragazzi. Ho stretto mille mani. Vittorio, Luca, Federico, Omar, Fabri, Giulio, Gigi e Giuseppe erano al tavolo con me, con loro abbiamo riso e brindato, mi hanno fatto sentire parte di un progetto meraviglioso, il calcio nella Bergamasca, dove qualsiasi giocatore diventa fortissimissimo, Atalanta docet e te credo, con questa cura che ci mettono tutti, senza lasciare nessuno indietro, nella coccola, guardandoti fisso in quel che resta del giorno, tra le carezze, risolvendotela al volo. La mattina dopo di nuovo, un altro miracolo orobico: Daniele e una richiesta unica, “insegna ai miei ragazzi come si scrive, un corso di scrittura creativa per quattro classi delle superiori con te come docente”. Non so cosa potrò insegnare, certamente proverò a spiegargli che le parole me le detta Bergamo, appunto il genio della mia lampada, l’incommensurabile accoglienza della sua gente, questa incredibile fiducia, l’amore, che conta, del resto è il solo modo di fregar la morte, citando il Liga che probabilmente ora tiene anche lui alla Dea. E Gasp ha i suoi meriti, è il migliore mister al mondo, ma c’è pure Bergamo nell’Atalanta dell’imminente triplete, questo posto che i brocchi come me e Charles De Ketelaere li fa diventare campioni, questo posto magico, che accoglie, che ci trasforma in Super Man, nell’unico viaggio certo e possibile, in questo segreto, amando.
Matteo Bonfanti
Nella foto: la meravigliosa illustrazione di Alessandro Adelio Rossi, Bergamo e la sua cura
giovedì 28 Novembre 2024