di Matteo Bonfanti
Non mi sono mai occupato dell’assassinio di Yara. E’ una vicenda che ho evitato fin dall’inizio. Ho letto pochissimo, non ho visto neppure uno speciale in televisione, non ho mai scritto niente. Mi ha sempre fatto troppa paura. Perché è tale e quale all’incubo dell’uomo nero, la canzone che mi raccontava mia madre quando ero bambino e che mi spaventava a morte. Perché non mi quadrava. Ero buono, bravo a scuola, persino carino, ma non importava. Quello lì della filastrocca, comunque, mi portava via e poi, magari, mi ammazzava. Come è successo a Yara che era un pezzo di pane e che nelle foto somiglia pure alla mia adorata nipotina Anita, l’unica che mi ha fatto svegliare alle otto di mattina per essere alle nove alla sua cresima, in prima fila, l’unico padrino presente a non essere credente.
Va così: se è tutto troppo brutto, non ne voglio sapere. Eppure oggi sono stato un giorno a pensare a Ester Arzuffi, la mamma di Massimo Giuseppe Bossetti, il presunto assassino, una donna che non si sa se sia un mostro o una santa, di certo è perseguitata da una sfiga incredibile. Vedere per credere quanto le è capitato. Nel 1966 sposa  un brav’uomo, il signor Giovanni Bossetti. Non ha neppure vent’anni, è una bella ragazza e magari suo marito gliel’hanno trovato i genitori. La giovane va in pullman. Tra una corsa e l’altra conosce Giuseppe Guerinoni, l’autista più affascinante dell’intera Bergamasca. Se ne innamora perdutamente e cede alla passione. Resta incinta di due gemelli che il marito (che non sa nulla della love story) riconosce senza battere ciglio. Ester è tra due uomini e non sa di chi siano i due che le stanno crescendo nella  pancia. Però è super, ha la testa sulle spalle e riesce a mettere una pietra sopra alla storia con l’adorato pulmista pur di salvare la sua famiglia. Ma l’uomo del bus le resta in testa. A riprova come chiama i due figli, uno Giuseppe, proprio come lui, l’altra Laura, lo stesso nome della moglie del bel Guerinoni. Poi l’esistenza va avanti: i figli crescono, lei invecchia. E sembra tutto passato anche perché si parla di quarantacinque anni prima e il tempo sistema le cose che quando sono distanti non fanno più male. Cresce i nipoti, si gode la pensione. Fosse fortunata, potrebbe starsene tranquilla persino a ricordare quell’amore lontano lontano nel mondo. Ma ha una iella impressionante e le torna addosso il tradimento di mezzo secolo fa. Col caso Yara. Per la prima volta in Italia gli inquirenti lavorano sul dna. E dopo quattro anni di indagini scoprono che il presunto assassino di Yara è il figlio illegittimo di Guerinoni, Massimo Giuseppe Bossetti, il bambino (ora quarantaquattrenne) della nostra Ester. Che mi commuove perché ce l’ha messa tutta e si ritrova al punto di partenza in un gioco dell’oca che pare un film: la trama iniziale è quella di una soap opera sudamericana, poi diventa un horror che si conclude con l’omicidio di una bambina.
Sto dalla parte di Ester, quella di ieri, una donna moderna che non ha paura di innamorarsi di un uomo già sposato che non può essere suo perché nel 1969 non c’è manco la legge che permette il divorzio. Le immagini sono quelle di un secolo fa, a Parre che è la nostra Eboli dove Cristo si è fermato. Mi piace Ester perché cede all’amore contro tutto e tutti resistendo alle malelingue di chi li vede scambiarsi sguardi complici sul pullman. Le sono vicino perché poi torna indietro, chissà con quali sacrifici, per tenere unite due famiglie, la sua e quella dell’autista, appunto Giuseppe Guerinoni. Lo fa trasferendosi all’estremo opposto della Bergamasca, lo fa mentendo per quarantacinque anni. Ne immagino la fatica, ogni giorno, a cena col marito che è certo di essere il padre di due figli che non sono suoi. Dopo mangiato il film sul divano e lei che pensa “stavolta l’ha capito”. C’è da morire di angoscia. Se si resiste vive, si è persone speciali. Proprio come Ester.
Sto dalla parte di Ester, quella di oggi, un’altra volta nel ciclone per aver messo al mondo quello che tutti dicono sia l’assassino di una tredicenne: una batosta che le è arrivata a tappe, piano piano, magari leggendo ogni volta quel che dicevano i giornali, la frase che recita “il cerchio si stringe”. Ma come si fa a credere che chi hai cresciuto possa essere collegato in qualche modo a un delitto? Una mamma tace anche di fronte all’evidenza. C’è in ballo quel che si è fatto per quarantacinque anni, tirare grandi due gemelli. Che non è matematica, non è uno più uno fa due: genitori bravi, spesso, danno figli cattivi.