Intanto il candidato, Dario Mione, il mio Darietto pur che è parecchio più alto di me, è uno dei tre colleghi con cui ho lavorato molto bene divertendomi sempre da matti. Simpatico, ma non in un modo normale, che ti chiedono e rispondi “dai, un bel tipo, ci sta”, esageratamente, da scappellarsi senza sosta nei momenti di moscezza redazionale, spesso nella totale impossibilità di ritornare serio nonostante all’epoca, da caporedattore, dovessi quantomeno tentare di darmi un tono. Correva l’epoca del fu “Il Nuovo Giornale di Bergamo”, le nostre postazioni, la mia e quella di Dario per dieci anni una di fronte all’altra, migliaia e passa di parole intorno, la vita e i suoi perché, l’amore e i suoi misteri, il calcio, gli scacchi e il cinema, il giornalismo, chi vale e chi bara, il sindacato e chi ce l’ha, la bellezza di stare insieme quando si scopre un opposto, io, il Matti, il poeta sognatore che non si ripiglia e finisce le sue pagine all’una e trentacinque circa di notte, facendo incazzare la povera tipografa di turno, lui, Darietto, il redattore ordinato e preciso, meticoloso, organizzatissimo, il primo ad arrivare in ufficio per tornare a casa alle sette e mezza e sedersi a tavola con l’intera famiglia. C’è, quindi, il mio passato a farmi fare questa scelta di campo alle prossime comunali a Bergamo. Dall’inizio di questo secolo sarò andato a votare un paio di volte, a giugno ci andrò di sicuro, e sto già cercando la tessera elettorale, forse rimasta a casa di mia mamma, ma non ho la benché minima certezza perché potrebbe benissimo trovarsi nel radiatore della mia Panda Aranciona a Metano. Darò la mia preferenza a Dario e vorrei che lo facessero in tantissimi, tutti, perché c’è il mio passato accanto a lui, la sua ironia, la sua onestà e la sua intelligenza, ma c’è anche un presente, l’immensa ammirazione che nutro quotidianamente nei suoi confronti. Darietto, infatti, da un giorno all’altro, senza il benché minimo avviso, anche solo quel minimo per riorganizzare la propria vita, si è ammalato di una di quelle malattie che sono simili a incubi, che cambiano l’esistenza in un secondo, tra dolori inenarrabili e una costante diminuzione del proprio raggio d’azione per via di una mobilità ogni mese minore. Io sarei impazzito, Dario, invece, ha dato una straordinaria prova di forza. Non ha perso il sorriso e la voglia di fare, anzi ha triplicato i suoi sforzi, restando un punto di riferimento per la cultura della nostra città, continuando a scrivere meravigliosamente di scacchi e di cinema, le sue due grandi passioni, organizzando eventi a tema per la nostra comunità. Che altro dire? Quattro cose, la prima è che lo amo e che in questi anni l’ho baciato varie volte, una addirittura in bocca (ma forse era un sogno), la seconda è che sono felice di averlo incontrato lungo la mia strada, la terza è che Darietto è nella Lista Gori, almeno lo sapete, la quarta è che sarebbe stupendo se fosse uno dei prossimi assessori perché, con lui in regia, Bergamo diventerebbe ancora più magica.
Matteo Bonfanti
Nella foto: Dario con la sua spalla, la moglie Giulia