di Simone Fornoni
0-0 da sbadigli contro l’Hellas del grande ex di turno, gambe pesanti e qualche pensiero di troppo ad addensarsi sulle idee sfocate, lasciato passare dalla finestra estiva degli scambi tra portatori sani di tacchetti che proprio non vuole saperne di chiudersi a doppia mandata prima dell’esordio stagionale. I tre big Maxi-Tanque-Bonaventura conoscono una domenica priva di spunti e l’Atalanta stecca immancabilmente. Il primo si muove spaesato finendo per farsi sballottare qua e là come nell’infausta seconda annata sotto le Mura, il secondo fa a sportellate con se stesso e contro i mulini a vento di una condizione inaccettabile per un professionista, e Jack più che giocare tra uno scatto e un riposino sfoglia la margherita del prossimo futuro, costretto ad attendere fino alle fatidiche ore 23 di lunedì 1° settembre per risolvere l’increscioso triangolo con Guarin e l’ucraino rinnegato Papu Gomez che dovrebbe prendergli il posto. Risultato? Con la testa fra i nuvoloni dell’estate orobica più uggiosa della storia, sul terreno di caccia si gira intorno alla preda senza ragionevoli speranze di poterla anche solo annusare.
Non hanno nemmeno lavorato eccessivamente di vanga, rastrello e cesoie, i giardinieri di casa al vecchio “Comunale”, per veder appassire i frutti del 4-3-3 del Mandorlo in fiore, dalla mediana solida e frondosa come una quercia secolare. Anche perché in fase di non possesso le due punte esterne rinculano e il resto lo fanno gli interni, bravi a garantire la fisarmonica con la terza linea stroncando gli acuti in inserimento dello spartito di Colantuono. E così il pentagramma nerazzurro, a dispetto del lucido magistero del Professore dalla bacchetta sempre tra le scarpe, rimane bloccato sulle soglie delle note alte del 4-2-4, mortificato dall’impossibilità di concedersi un cross pulito che sia uno. Il problema è che su ambo i fronti il concerto del tardo pomeriggio non decolla: l’Hellas, orfano di Iturbe e con il ragionierino Tachtsidis a impostare, veleggia a metà tra il diesel e il pianto greco; di là, Denis logora i cingoli ancora appesantiti dalla trincea della preparazione nel furto delle mine vaganti, perdendo in lucidità e misura negli appoggi e nelle combinazioni. Se i traversoni tagliati di Gomez Taleb ed Estigarribia vanno a rimpolpare la casella delle conclusioni dopo una ventina di giri di lancetta, poi, c’è da farsi venire l’abbiocco. Ad accendere la spia del pericolo ci pensa l’eterno Toni, panzer trentasettenne che bagna ancora il naso a qualunque baby: intorno al ventesimo si gira tre volte in piena area facendo venire il cagotto a Sportiello, attentissimo a rintuzzare di piede la prima vera minaccia firmata Jankovic al 23′. Un Cigarini guardato a vista dal nemico verticalizza e sventaglia come può, riuscendo ad aprire il corridoio per Dramé nel finale di primo tempo, ma lampi e tuoni annunciati rimangono una mera minaccia meteorologica.
Nella ripresa si corricchia giusto un pochino di più e Maxi finalmente sbuca sottoporta, peccato che il topolino partorito dal suo destro trovi la tana nei pressi del lampione della Sud. Toni spaventa ancora Sportiello, stavolta in gioco aereo, senza inquadrare il mirino. Ed ecco, per ridestare gli annoiati, l’attacco di granito Bianchi-Boakye, la coppia di torri inserita tardivamente e perciò incapace di muovere scacco. La strizza la prende ancora Sportiello, la cui seduta ipnotica ai danni dello sprecone Juanito Gomez – sul contropiede ricamato da Toni e viziato da una ranzata ad Estigarribia non vista da Rizzoli – viene comunque vanificata dal fischio arbitrale per la scorrettezza su Dramé. C’è da lavorare, tirando le somme. E magari buttare il coraggio oltre l’ostacolo di vecchie abitudini che potrebbero rivelarsi perniciose: con tutte le seconde linee valide acchiappate nella paranza del calciomercato, portare il motore fuorigiri sarebbe la garanzia di qualche sbandata imprevista sulla strada della salvezza. Che si vorrebbe sempre liscia e diritta, come la Brebemi. Al capocantiere Colantuono la soluzione a un progetto partito maluccio.