BERGAMO – Denis che riapre le speranze per poi agguantare il punticino da killer ritrovato, Maxi gigantesco nel tenere il Palermo sotto tiro fino a spianare il cammino alla remuntada. E meno male che per togliere l’indigeribile rombo dallo stomaco è piovuto dal cielo il bicarbonato del 4-2-4. Fotografie essenziali di un Christmas Match difficile da mettere a fuoco, tanto è stato pazzerello. Ma l’album degli orrori della quartultima della classe dalla difesa colabrodo – otto sulla gobba in tre partite, per un totale di ventuno – riconsegna ai tifosi l’immagine nitida di un’Atalanta da tango. Più bradipesco che argentino, ma vabbe’. Si resta aggrappati alla certezza che dai volti arcinoti dei due neo capocannonieri di campionato – tris a cranio, avessi detto Puskas e Di Stefano -, se non si presentano sbiaditi all’appuntamento, è impossibile prescindere. Anche dopo anni e anni di calcio servito nel piatto più o meno con la stessa salsa, nonostante la perdita di qualche primattore e l’aggiunta di molte comparse.
L’exploit del Tanque e del Frasquito, però, è un’arma a doppio taglio. Se il duo deve fare pentole e coperchi, significa che la nidiata di facce nuove non sa cucinarsi nemmeno un ciareghino. A parte, solo a tratti, il pokerista Boakye, comunque così altalenante da aver pareggiato con la doppietta di coppa all’Avellino il quoziente di regular season, e il Dramé nella versione corsaiola da secondi tempi, per il resto ciccia. A Molina, Spinazzola e Grassi, in ossequio alla strombazzata politica dei giovani, il capocuoco Stefano Colantuono ha concesso solo le briciole. Evidentemente non li ritiene all’altezza, altrimenti non li parcheggerebbe in dispensa nonostante la mezza morìa di esterni con i forfait in rapida successione di Estigarribia e Raimondi. Il problema non si chiude citando l’efficacia intermittente come le lucine del Presepe, sulle corsie, dei vari Zappacosta (buono a sfornare cross, vedi azione del rigore dell’1-2 nell’ultima domenica dell’anno pallonaro, ma talora distratto dietro) e Gomez (benino solo da subentrato), perché gettando lo sguardo altrove si trovano lo stesso magagne a non finire. In mezzo, dove non c’è la scusa delle novità da metabolizzare, per un Carmona che perde palloni sanguinosi (sul raddoppio ospite, autostrada spalacata a Vazquez) ci sono un Baselli ancora nel guscio (malissimo in ripiegamento sull’ex Barreto) e il faro Cigarini fermo al palo e ai tweet senza illuminare come potrebbe; davanti, Bianchi crea spazi portandosi via almeno un uomo per volta ma di suo non inquadrerebbe il lago d’Endine, mentre D’Alessandro appare un ibrido tra un’aletta e una punta larga da tridente.
Non parliamo poi dell’impossibilità di comporre un mosaico a prova di bomba davanti a Sportiello, dietro il quale Avramov può rassegnarsi a fare la calza, tra gli avantindré di ruolo o dalla panca: Benalouane non sa più neanche lui se è un terzino o uno stopper, Biava e Cherubin entrano ed escono dalla rotazione senza un perché. In definitiva, se la saggina non ramazza lo sporco come dovrebbe, significa che la scopa non è adatta – un Bonaventura non si rimpiazza certo a parole -, o chi ne regge il manico non sa come passarla sul pavimento. Prove ne siano le sedici formazioni diverse, i balletti a rischio di scivolone tra un modulo e l’altro (lo sfilacciatissimo schema a due vertici è qualcosa di orripilante), la decina secca di match senza metterla e certe giravolte di rendimento in area che hanno portato in dote nelle ultime due partite casalinghe più reti (sei) che nelle precedenti tredici giornate (cinque). Le virate in corso d’opera (Bianchi e il Papu per Boakye e Baselli) per i raid a quattro servono come l’antizanzare in agosto. Ma non risolveranno alcunché, fin quando ci si affiderà alle formule improvvisate, alle intuizioni peregrine, allo stellone e ai grossi nomi, da cui ci si aspetterebbe ben più che saltuari lampi di genio. Il risultato è che il semi-derelitto Cagliari sta sotto di tre punti (15 a 12), mica la fossa delle Marianne. Al trittico post festivo Genoa-Chievo-Milan l’ardua sentenza sul 2015 che sarà. Per raggiungere la quota 21 della scorsa stagione al giro di boa, come auspicato dal mister, servirà un miracolo stile Nazareno. Quello vero, l’omonimo patto renzusconiano non c’entra. Oppure una bella svegliata collettiva, perché i due succitati non bastano. E provare con una brocca d’acqua gelida di grondaia?
Simone Fornoni