“Voglio giocare, ma so fare il trainer e il coach. E posso farlo in molte lingue”. Dal cognome si direbbe di ascendenti tedeschi in linea paterna. Dal nome completo, Patrick John, e dalle tappe tra nascita e formazione, echi irish e sostrato all New England, quello dei Padri Pellegrini da cui nacque una nazione intera: venuto alla luce ad Hatfield, Massachusetts, high school a Windsor (Loomis Chaffee) nel Connecticut e università al Colby College, a Waterville, Maine. Lo Stato USA dov’è ambientata la saga della Signora in Giallo, per intenderci. Eppure, con una laurea in scienze economiche nel 2018 in tasca, Pat Dickert, aggregato alla preparazione estiva della Blu Basket Bergamo, si sente ed è cittadino del mondo: “Ho un bisnonno di San Michele di Bari, l’anno scorso ho ricevuto la cittadinanza italiana a Taranto. Un passaporto che mi dà un’ulteriore opportunità di mercato. Però sono sempre in viaggio: ho allenato in Cina e giocato a pallacanestro da professionista in Norvegia.

A scorrere i suoi profili social, si scopre un acronimo ricorrente che è insieme il motto giornaliero e la filosofia di vita: MYBG, May you be great, possa tu essere grande, “Go ahead, be great”, dal Vangelo secondo Matteo, 20:26. Pat è un uomo che continua a creare se stesso per aspirare alla grandezza: “L’Italia è uno dei posti da esplorare alla ricerca di un lavoro nel basket a livello professionale.  Ho sempre voluto trovare un posto dove giocare e, ovviamente, il passaporto fa una grande differenza – spiega il play-guardia di 1 metro e 90 per 88 chilogrammi, specialista del corri & penetra con notevole stacco da terra che gli consente di inchiodare con facilità -.  Ma è importante per me dare qualcosa in cambio al Paese. Non si tratta solo di avere la possibilità di essere un giocatore comunitario: voglio una connessione profonda, un legame vero con la mia nazionalità. Questa è la ragione per cui sono venuto”.

Pat

, o vogliamo chiamarlo Patrizio?, ovviamente conosce anche l’italiano. Lo infila nel discorso quando parla di radici. Mastica a grandi bocconi il norvegese e conosce il mandarino, tanto da usarlo per i sottotitoli a post e video esplicativi della propria attività. Ecco il significato compiuto di un termine molto americano come “connessioni”. Perché nel posto che ti trovi nel mondo ci vivi, non ci lavori solamente. Tra i fiordi, Centrum Tigers di Oslo e più di recente Nidaros Jets di Trondheim, come in Estremo Oriente, dove oltre ad allenare nel 2020-2021 era stato head coach all’Accademia di Pallacanestro degli Stati Uniti nel distretto di Yubei a Chongqing. Da responsabile della formazione completa sul campo da basket per studenti di età compresa tra 8 e 18 anni, della progettazione del curriculum e della promozione dello sviluppo di tutto lo staff tecnico, oltre che responsabile della squadra di Pallacanestro. Un professore appena uscito da Colby, 2018-2019, 10 mesi in cui ha imparato la lingua.

“In Norvegia sono state le mie prime due stagioni in cui ho giocato professionalmente. Prima ancora, stavo lavorando come skills trainer e assistente allenatore per gli Aviators di Shenzen, ora noti come Leopards. Lo stesso club dove ha lavorato Marco Ciarpella, che adesso, tornato dalla Cina, fa il coach alla Virtus Lumezzane. L’abbiamo incontrato nel primo scrimmage”, continua il paisà del New England che la Gruppo Mascio ha voluto con sé per alzare l’intensità in palestra.

In realtà, passando al setaccio i suoi profili, si scopre che Dickert, il basket, che ama visceralmente e considera alla stregua di un esperanto, una lingua comune che unisce i popoli e ancor più stabilisce legami personali e formativi con le persone, lo insegna praticamente da sempre. Oltre a praticarlo in ogni momento possibile, vedi circuito italiano 3 contro 3 fra primavera ed estate. Ancora prima, la Sunrise Ball session a Londra. Non si ferma mai, Pat, né è intenzionato a farlo: “Dopo una stagione, ho deciso di investire completamente nella mia carriera di giocatore. La Norvegia mi ha dato l’opportunità di iniziare a migliorare la mia esperienza e a costruire la mia carriera sul parquet. Ora voglio trovare un posto dove possa sfruttare la mia cittadinanza italiana”.

L’aggregato alla Blu Basket insieme a Soma Abati Touré conosce bene il proprio status: “Sono un italiano senza formazione. Quando ho iniziato le pratiche per la mia cittadinanza italiana, ho capito che le regole della federazione cambiano ogni anno. Ma ho capito che in serie A2 un posto per un italiano di nazionalità sportiva ci sarebbe stato”. Non c’è, però, solo il campo: “Cerco opportunità in questa categoria. Il mio obiettivo è semplice, voglio giocare e voglio costruire una relazione con il club, perché penso che potrò usare il mio background di esperienze anche come allenatore o insegnante, per aiutare a migliorare il sistema”. Infine, un inno alla sua nuova pallacanestro da passaportato: “Penso che il basket italiano abbia una grande opportunità per migliorare. Ho giocato 3×3 l’estate e vedo che in questo campo funziona tutto molto bene. Questa è una parte del mio modo di dire grazie. Se posso essere parte di un team come allenatore e poter sperimentare il mio sogno, è una gratitudine di ritorno a quel club e al basket italiano in generale. Ho una rete di conoscenze, l’esperienza da allenatore. Se c’è un interesse in Italia per allargare le sue frontiere, la mia connessione con gli Stati Uniti, con la Cina e con la Norvegia può creare valore per una società”.
Simone Fornoni