L’altro giorno pensavo a noi qui, fianco a fianco nella redazione di Bergamo & Sport, che impaginavamo presentazioni di squadre di Terza categoria chiacchierando di Papa Bergoglio e di Matteo Salvini ed ero felice. Mi sentivo normale, al mio posto, nel meglio possibile del mio mondo conosciuto. Preso dal benessere nonostante i quaranta gradi percepiti nel nostro ufficio-forno, cercavo di capire la magia che ci lega, che da dieci anni esatti siamo ogni giorno accanto, persino nei giorni di festa, nella bufera o nel sole, e non ne siamo ancora stanchi. Voglio bene a Marco Neri e a Monica Pagani, i miei colleghi, due persone preziose perché accoglienti e silenziose anche quando tutti gli altri intorno fanno rumore. Diversamente da me, che amo raccontarmi pur non avendo alle spalle una storia eccezionale, i miei compagni di viaggio hanno vicende grandi, forti e controvento, ma se le vivono sottovoce, in privato.
C’è oppure credo ci sia stata la buona sorte, che quando abbiamo cominciato a raccontare lo sport dei dilettanti, abbiamo incontrato un sacco di problemi e li abbiamo superati. Avremmo potuto diventare cattivi tanti erano i guai, che eravamo partiti subito con un’azienda gigante, ma senza le competenze che servono a mandarla avanti. Avevamo un settimanale e c’eravamo dimenticati di prendere dei pubblicitari. E poi non sapevamo ci fossero delle fatture da inviare, delle tasse da pagare, delle carte statali da decifrare, persino l’Iva era una parola a noi sconosciuta. Siamo tre giornalisti e credevamo bastasse qualcosa da scrivere, il big match di Prima da seguire coi controcoglioni, perché ogni cosa diventasse illuminata. Non è così: occorrono le frasi per descrivere la rovesciata di Matteo Ghisalberti, ma c’è bisogno pure di molto altro, ad esempio qualcuno che si prenda la briga di fare il recupero crediti, tormentando il proprietario della fabbrichetta in Val Seriana o il titolare del negozio piccino picciò nell’Isola orobica. Ci siamo messi di buzzo buono, apprendisti stregoni, soprattutto Monica che si è immolata al dio della pubblicità, quella cosa terribile e necessaria che è chiedere soldi a destra e a manca per tirare avanti un giornale. Cento euro per il piede, duecento per la mezza, trecento per l’intera pagina, migliaia di telefonate che ho provato a fare anch’io, ma, figlio di insegnanti, mi vergognavo e finiva che alla fine vendevo l’intero Bergamo & Sport per dodici centesimi ringraziando a dismisura chi mi aveva preso per il collo.
E’ stata dura, lo è tutt’ora, che non si può mollare un secondo nel periodo che viviamo, l’era di facebook e dell’editoria in stato di coma. Eppure il nostro giornale è bellissimo, è il mio sogno preferito, che non ci siamo mai dati degli orari, che ridiamo sempre un sacco, abituati come siamo alla complementarietà dei nostri cuori, che se abbiamo da decidere qualcosa, andiamo a farci tre Tennents al Blupuro o partiamo per Dublino e rimandiamo la scelta da fare, che forse è proprio questo il segreto della felicità in una redazione. Non c’è fretta e poi il tempo sistema le cose, questo l’insegnamento che sento sulla pelle.
Sono quasi le tre del pomeriggio, Monica è in giro ad obbligare qualche presidente a farci il contratto annuale, Marco fa il giro dei cattivi pagatori intanto che abbozza l’organizzazione domenicale sentendo i nostri mitici collaboratori per il torneo di Monterosso, per la corsa dei Giovanissimi a Calusco, per le mille altre cose che finiranno lunedì su Bergamo & Sport. E’ appena arrivato Carmelo, che gli somiglia perché è un (apparente) tranquillone e a me piace perché sta facendo il percorso inverso a noi tre: era solo un agente pubblicitario, ora fa anche il cronista sportivo e lo fa pure bene, capendo l’immenso valore di un Recino o di un Fogaroli, sbattendosi sui campi di Serie D, Eccellenza, di Promozione e di Seconda. Io sto a raccontare il nostro giornale, che ha incontrato qualche persona cattiva che ci dava un mese di vita, gufandoci costantemente, ma che ha anche trovato centinaia di amici. Qualcuno lo abbiamo perso per strada, ma è rimasto nel cuore.
Tra l’esercito di donne e di uomini che ci hanno sempre sostenuto in questi dieci anni passati in un battibaleno, ce ne sono due che da direttore mi è impossibile non citare. Si chiamano Silvia Maida e Gualtiero Dapri, la prima è la mamma di Marco, la nostra infaticabile segretaria dal primo giorno della nostra cooperativa, aiutando tre bei casinisti (del resto rimaniamo sempre dei fantasiosi giornalisti sportivi…) senza chiedere mai nulla in cambio, il secondo è lo squisito genio del marketing della Lario Bergauto, che nel luglio del 2009 mi ha conosciuto, spettinato e confuso, e ha subito convinto il dottor Mariani, un gigante dell’imprenditoria bergamasca, a fare la pubblicità su Bergamo & Sport. Non ci fossero stati loro, sarebbe stato tutto più difficile.
Matteo Bonfanti