Fosse dipeso da me, dico fossi stato l’unico docente presente oggi agli scrutini, ogni mio alunno sarebbe stato promosso con la lode, che manco so se esista ancora, ma che io ho messo più o meno a tutti in qualsiasi compito fatto in classe. Ma non per la grammatica, così difficile quando si hanno quindici anni e troppi sogni in testa, unicamente per il viaggio che i miei studenti, la Prima, la Seconda e la Terza dell’Engim di Brembate Sopra, mi hanno permesso di fare e di fargli fare. Era gennaio, era la mia prima lezione, era il mio desiderio, che per i miei studenti scrivere diventasse piano piano uno dei loro ripari nei giorni di pioggia, come lo è per me proprio oggi, fuori e dentro senza il sole. Sognavo che le parole fossero per i miei ragazzi lo stesso che sono per me, un porto sepolto e intimo quando la tempesta arriva d’intorno e tenta di annegarmi, bagnandomi fradicio l’anima, l’universo e persino il cuore. Dicevo, ed era questo pomeriggio, mentre scivolavano voti dei colleghi e la lavagna digitale si copriva di colori sempre nuovi, “solo che mi dispiace, ma io devo andare, ho un appuntamento al giornale e pensavo fosse tutto un sacco più veloce, giusto un sì o un no, ma voi siete bravi, ascoltate il motivo, immaginate il loro bene, lo percepite, sapendo dove si trovano i nostri ragazzi e se sia giusto farli andare avanti oppure farli un attimo aspettare ripetendogli un’altra volta ancora le nozioni. Ci tenete ed è bello lavorare con voi, ci pensate, vi sprecate, vi affaticate e per me essere qui con voi è un onore. Quanto alla mia materia, all’avventura che ho fatto fare ai nostri ragazzi, penso che si avvicini al mio sogno preferito. Con grande sensibilità, complicità, coraggio e ironia, ognuno dei nostri ragazzi ha deciso di seguirmi fidandosi di me, provando a camminare lungo quel magnifico argine che è la scrittura. E ci è voluto poco. Due lezioni e si sono messi, a penna, sui fogli che rubavo in sala professori, eliminando il computer e l’intelligenza artificiale, mettendoci il loro cuore, l’amore, che è la sola cosa per me importante quando ci provo, che sia un articolo, una lettera, un libro o anche solo una canzone. Questo è quanto. E, cari colleghi, se sono stati così disponibili con me è perché voi siete degli ottimi insegnanti, che in questi anni li avete abituati all’accoglienza e all’esperienza. E pure i loro genitori non sono niente male”. Poi sono andato, ho fatto piano piano la stradina per arrivare al parcheggio dove c’era la mia macchina. Ero come ora, pieno zeppo di pensieri, nel dubbio se abbia senso a settembre continuare a insegnare. Di una cosa ero certo, che la scuola in Italia è meravigliosa.
Matteo Bonfanti
Nella foto: l’ingresso dell’Engim, un pezzo del mio cuore
