Da Atalanta-Valencia a San Siro ad Atalanta-Real Madrid al Gewiss Stadium, la solfa non è cambiata. Dalla partita zero alla partita zero-bis, o forse uno, due e tre. Dare i numeri, del resto, è un malvezzo della propaganda di regime, tesa a usare i privati cittadini come capri espiatori per giustificare le misure draconiane nei confronti di tutti. Morale della favola: i tifosi stavolta erano fuori dallo stadio e non dentro, lungo il domesticissimo viale Giulio Cesare, ma la responsabilità del contagio viene comodamente fatta ricadere lo stesso su di loro, gli untori e gli irresponsabili per partito preso. Riecco la foglia di fico servita sul piattino a una classe dirigente incapace di gestire un qualunque fenomeno, che sia sanitario o d’altra natura poco importa. Il messaggio è il seguente: non ne usciremo mai perché quelli lì erano in strada in tremila e tornando a casa loro ammazzeranno i parenti stretti. Puntate pure il dito e tenetelo premuto sullo schermo del pc, mentre misurate il distanziamento sociale infranto: se vi rinchiudiamo in casa, colpa di questi che fanno del calcio e di una partita una malattia.

Un discorso ancor più irrazionale e destituito di senso logico della passione che ha mosso, muove e muoverà sempre chi stravede per una squadra di balù, per molti l’unico appiglio a un’esistenza sconvolta, magari dallo stesso virus maledetto o dalla disoccupazione che ne deriva. O si crede forse che quelli scesi sul marciapiede, che tanto puzza e fa schifo ai borghesucci a dito puntato col culo al caldo, non abbiano sofferto privazioni e lutti durante quest’anno terribile che sembra non voler finire mai? Perché la condanna del pubblico atalantino, o meglio di quella parte minoritaria – la maggioranza è ligia alle regole e ha paura: un dovere e un diritto, senza discussione -, è fuori da ogni logica? Semplice: perché il ragionamento, in assenza di misure repressive e dispersive per farle rispettare, queste benedettissime e fin troppo abusate regole, non regge nemmeno un nanosecondo. Legalmente parlando, di manifestazione non autorizzata si trattava. A Bergamo, come altrove, oltre alle forze dell’ordine esistono un questore e un prefetto: autorità dello Stato.

Ebbene, sono intervenute le predette autorità, a parte i soliti cordoni e la via Lazzaretto transennata? Hanno mandato un emulo del generale Bava Beccaris, quello dei moti contro il carovita del Novantotto, ovviamente cogli idranti per disperdere la folla a rischio di Covid-19 al posto dei fucili? Far circolare i pick up della Protezione Civile con tanto di testo recitato al megafono come misura dissuasoria non è ‘sto granché. Affidarsi al buonsenso e al rispetto di regole non percepite come così stringenti nemmeno da parte di chi è deputato a imporle è illogico, irrazionale, assurdo. Se il legislatore crede nelle misure anti-Covid, allora ha il dovere di far uso della forza per imporle e farle rispettare fino all’ultima virgola. Nel caso, anche sanzionando i club per responsabilità oggettiva: con Milan e Inter è forse stato fatto?

Se non lo fa, è perché semplicemente è consapevole che non servirebbero comunque. Nonché per consentire al popolino di tenere il dito puntato sul capro espiatorio di turno, quelli che si agitano e pretendono di esercitare il diritto alla socialità, negata da troppo, solo per la sfera di cuoio che rotola da un anno lontano dai loro cuori. A parte che ci vuole davvero una fantasia fervida per credere che i tremila del 24 febbraio fossero infetti, contagiati e contagiosi, fino a prova contraria. Non sono mai stati tamponati nemmeno i 45 mila dell’altr’anno, salvo affibbiar loro l’esplosione del virus. Il calcio a porte chiuse è triste. Una società a portoni serrati e a dito puntato, nel segno del divide et impera, una tragedia. A proposito, raccontateci com’è che nonostante il vaccino la curva del contagio non si abbassa, e com’è che era crollata in piena estate quando era tutto apertissimo, spalancato, senza mordacchia in faccia. Colpa dei tifosi, ovvio. 
Simone Fornoni