E’ morto Ennio, Enniuzzo per Billy nostro, Arongis per Marco, un collega dalla prosa stupenda, soprattutto la persona più buona che io ho conosciuto, tanto allegro che mi confondeva, a Ennio era infatti impossibile dare un’età, forse quaranta, forse cinquanta, magari già sessanta.
Ho lavorato con Ennio, E. A., dove la A era Arengi, nella stessa redazione per un sacco di tempo, portato al Giornale di Bergamo dopo un’interminabile serata al Pacì Paciana a parlare dell’evoluzione pop dei Marlene Kuntz. In lui, giornalista sportivo dalle conoscenze ed esperienze incredibili, avevo trovato il perfetto cronista per seguire ogni giorno l’Atalanta. Ne avevo parlato con Paolo, il nostro direttore, che già lo conosceva per averne letto le bellissime parole, e tempo un paio di giorni Ennio aveva mollato L’Eco, dove era finito a fare articoli di economia, proprio lui che non ne aveva mai uno in tasca, comunista, ma comunista davvero, che metà dello stipendio lo spendeva a far bere e a far fumare i tantissimi che aveva intorno, tutti innamorati di lui, perché coi suoi racconti su Caniggia, Stromberg ed Evair faceva straridere.
Ennio per il giornale andava a Zingonia. Lui e il Rosso, che era il suo cagnetto, ed Enniuzzo aveva quella magia dei cronisti sportivi che non ci sono più, amici dei calciatori prima che giornalisti. Così, a lui, erano tutti legati, il Vava soprattutto, poi Bigliardi, Doni, Bianchi, Delio Rossi, Makinwa, Bernardini, i suoi pallini, mi ricordo Rustico e Defendi, che per i suoi articoli avevano sviluppato una sorta di venerazione.

Speciale sul campo, ma pure nella vita privata, con quell’immensa dolcezza che ne ha limitato il cammino professionale, perché nel nostro lavoro, se vuoi arrivare ai quotidiani nazionali, devi essere bravo, ma anche un po’ stronzo. Enniuzzo non lo era, era talmente sensibile che una volta aveva la casa invasa dai topi e io, che buono non lo sono per niente, ero andato a disinfestargli l’appartamento ammazzando le bestioline a bastonate. A lui era scesa qualche lacrima, poi mi aveva portato a bere per ringraziarmi dello sterminio.
Pallone, musica, a ballare al Pacì, e migliaia di amici da incontrare ogni sera, tra cui Paolo, Manuela, Veronica, Monica e Isaia, vicini nei suoi anni difficili, gli ultimi due passati col cuore malato. A loro va il mio pensiero perché so quanto siano nell’immensa tristezza, oggi più che mai, che Ennio avrebbe compiuto gli anni, il 26 ottobre, un giorno che quando lavoravamo insieme, era quasi una festa cittadina.
A me di lui resta la testina, appesa in sala, sarà di dieci anni fa, quando la simpatia di Ennio riempiva i miei giorni. Avevo voglia di vederlo, ma come mio solito rimandavo. E questo piccolo articolo è anche per chiedergli scusa di non essermi più fatto vivo e non è una giustificazione quella che ogni giorno mi alzo con mille robe da fare. Sarei potuto benissimo correre da lui a bermi una pinta e a far casino, mi avrebbe fatto parecchio bene e il dispiacere è che da adesso non potrò farlo più.

Matteo Bonfanti