Questa storia di calcio comincia con inglesi e argentini. E chi ama il calcio sa che quando ci sono di mezzo questi due “mondi”, alla storia vale la pena di arrivare in fondo.

Gli inglesi il football lo hanno inventato, gli argentini hanno inventato l’amore per esso. Gli inglesi hanno introdotto la numerazione delle maglie da gioco, ma sono stati gli argentini a fissare la mistica del numero inestricabilmente legata al ruolo ricoperto in campo.

Il numero 1 è il portiere, il 9 è il centravanti. Col 2 e il 3 giocano i terzini, col 6 il libero. Il 7 è l’ala destra, l’11 il giocatore mancino. Questi sono facili, li abbiamo imparati tutti a memoria. Altra cosa è il numero 5, invece. In Europa, sempre per eredità della “perfida albione” viene appiccicato sulla schiena del marcatore centrale, il difensore dalle gambe di larice e i piedi, spesso, ben poco educati, ma nella terra delle sconfinate Pampas, dove ci sono più di 300 modi diversi per descrivere un dribbling il numero 5 è tutt’altra cosa. Cosa? Chiederete, voi. Eh, bella faccia tosta avete. Spiegarlo a parole è limitante. Sarebbe come provare a spiegare un tramonto.

El cinco è pura commistione di linee rette e curve, angoli e sezioni. Ha una numerologia potente, simbolica, sacra. Nel calcio argentino la sovrapposizione tra la narrativa, l’estetica e la semplice geometria del numero 5 è quasi completa. El pivote, così chiamano, a volte, il giocatore che lo indossa, tratteggia fraseggi, cambia direzione, poi disegna un’iperbole che taglia il campo e il pallone è totalmente, impunemente, irrimediabilmente attratto dai suoi piedi raffinati. Quasi estintosi nel nuovo regno del calcio box-to-box e dei numeri di maglia all’americana, egli è un esteta del gioco, ma mai schiavo della sua bellezza. Il bel calcio è l’unica arma da brandire con fierezza.

Se la brama di sapere vi attanaglia e arrivati a questo punto esigete un paragone, atto a comprendere al meglio di quale tipo di giocatore stiamo parlando beh, due sono i nomi che non possiamo esimerci di fare: Fernando Redondo e Josè Maria Gutiérrez Hernàndez, meglio famigliarmente noto come: Guti.

No, non sono gli indolenti, non sono i vanitosi, sono quei calciatori capaci di emanare un calcio di una bellezza così abbacinante in grado di riconciliare qualsiasi aficionados con il proprio primordiale sentimento d’amore verso la palla di cuoio.

Di questa “razza” primigenia di calciatore è anche Simone Cerea, uno spettacoloso centrocampista che ha avuto un solo avversario in tutta la carriera che non è riuscito a battere: il destino. Ma partiamo dall’inizio…

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