Nove sono le muse, generate da Zeus; nove sono i cerchi dell’Inferno e i cieli del Paradiso di dantesca memoria; nove nella smorfia napoletana è ‘a figliolanza, la prole. Nove è anche un canale televisivo, ma il numero nove soprattutto è, nell’immaginario collettivo, il codice di riconoscimento, la targa, l’icona, l’effige, il simbolo dell’attaccante originario, il goleador, il finalizzatore, o per dirla come piace alla moda d’oggi: il bomber. Quando ancora i calciatori scendevano in campo con la numerazione fissa il nove lo indossava colui a cui era affidato il compito più difficile, guadagnarsi il pane guardato a vista da due mastini senza fronzoli pronti, nel caso, a infilare 13 millimetri di tacchetti d’alluminio torniti nelle tenere sue tenere carni. Tuttavia il nove è quello che meglio contiene l’essenza stessa del gioco: buttare la palla in rete. Incauti nuovi usi tattici e discutibili gusti tecnici portati dalla nouvelle vague del panorama pallonaro; spagnoleggianti santoni del falso nueve, predicatori invasi dal fuoco pentecostale di mastro Pep che recitano a memoria: “il mio centravanti è lo spazio”; propagandisti nord-europei del “giocare-di-sponda” fin dalle prime albe del nuovo Millennio hanno reso, quella dei numeri 9, una specie in via d’estinzione. Ma, per fortuna del gioco stesso, il dio bisbetico della palla a 32 pannelli ha deciso di farsi beffe delle fugaci mode terrene e mandarci giocatori come il protagonista di questa racconto.

Bomber si nasce – Nasce e cresce a Gorno, altissima Val Seriana, dove di solito, più che al calcio, gli eredi li si iniziano alle pratiche più prettamente montane. Sì, perché per quelle genti, la montagna non è solo il confine del loro orizzonte è un’entità viva che con loro vive e a loro parla trasmettendo quella calma, quell’umiltà e quella serenità che saranno tre perle preziose che ornano il carattere di “Spampa”. Così lo chiamano gli amici, così è riconosciuto ormai da tutti gli addetti ai lavori. La mamma è disperata: quel ragazzino a scuola ci va solo “a spinta”, i compiti, solo se piove e proprio non si può uscire, ma quando si tratta di andare a giocare in piazza è il primo a presentarsi e l’ultimo ad andare via. Se non puoi batterli, alleati con loro, recita uno dei mantra dell’“Arte della guerra” di Sun Tzu che la mamma di Cristian decide di mettere in pratica quando, ormai presa per sfinimento, porta il figlio al campo. Entrerà a far parte della squadra dei Pulcini e fin da subito diviene l’attaccante titolare che firmerà la vittoria del campionato provinciale nella gara “secca” sul campo di Monterosso contro i rivali del Lallio guidati dal futuro compagno e amico tra i “pro” Leo Di Ceglie.

Il primo passo – E’ Cristian a catalizzare tutte le attenzioni, compresa quella dell’Albinoleffe che lo tessera in men che non si dica e dalla stagione successiva si ritrova vestito di blu e azzurro. I dirigenti seriani si immaginano, per il nuovo arrivato, la possibilità di raccogliere l’eredità dei grandi bomber transitati tra il Kennedy e il Martinelli. Tuttavia Cristian deluderà le aspettative dei suoi, ma non certo a causa dell’inettitudine, anzi! E’ troppo bravo e lo vuole l’Atalanta nel proprio vivaio.

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