Due anni fa, questo stesso giorno, il 23 aprile, ci lasciava Mino Favini. Fermo per l’anagrafe e anche nei suoi principi immarcescibili: crescere l’uomo prima ancora del calciatore. Guru del vivaio di Zingonia per quasi un quarto di secolo, dalla prima presidenza di Antonio Percassi alla seconda, quella della mietitura succulenta dopo decenni di semina, il Mago di Meda in realtà non ci ha mai abbandonato, illuminandoci del suo esempio umano e professionale. Tant’è vero che nella sede dell’Atalanta, società con cui il responsabile del settore giovanile dal 1991 al 2015 ha sempre tenuto un rapporto che rasentava la reciproca donazione di organi, c’è l’Accademia che porta il suo nome.

Oggi è tempo di ricordi, ben oltre la nota di commemorazione sul sito ufficiale. “Indimenticabile Mino Favini”, s’intitola. “Mino Favini, un maestro indimenticato e indimenticabile. I suoi insegnamenti, la sua gentilezza ed il suo sorriso ci accompagnano sempre, oggi, nel secondo anniversario della sua scomparsa, in modo ancora più struggente. Il Presidente Antonio Percassi e tutta la famiglia atalantina ricordano il grande Mino con immutato affetto ed immensa gratitudine”. Al ‘Mago di Meda’, dov’era nato il 2 febbraio 1936, è intitolata l’Accademia Favini, il plesso in sede a Zingonia al servizio del vivaio, dal 27 aprile di due anni fa, inaugurata ufficialmente il 14 novembre successivo.

In precedenza calciatore nerazzurro nel biennio 1960-1962 dopo esserlo stato con Meda, Como e Brescia prima di chiudere nella Reggiana, lavorò anche per il settore giovanile lariano. Tra i talenti scoperti, Fontolan, Vierchowod, Borgonovo e Simone a Como, Tacchinardi, Morfeo, i gemelli Zenoni, Zauri, Pelizzoli, Donati, Pazzini, Montolivo, Bonaventura, Caldara, Conti e Gagliardini tra i bergamaschi. E chissà, oggi, quanto sarebbe stato felice di assistere alle infornate senza posa di plusvalenze su due gambe. Che lui, come faceva con Pinardi, per lui Alex e basta, di gran lunga il suo prediletto, chiamava solo per nome. E considerava bravi ragazzi, i suoi ragazzi. Che fossero campioni o no, poco importava.