Questi lunghi mesi di pandemia hanno portato a inevitabili cambiamenti: nuovo modo di lavorare, nuove forme di comunicazione, nuovo atteggiamento verso il prossimo -tendenzialmente improntato a maggior distanziamento e sicurezza -.
Non credo abbiano spinto le persone a maggiore empatia verso il prossimo o a riscoprire una rinnovata spiritualità, ma certamente hanno condizionato la quotidianità di tutti noi.
Ascoltando amici e conoscenti e leggendo un po’ di testimonianze, però, un aspetto positivo, in buona misura riscontrato trasversalmente su una moltitudine di persone, c’è stato.
Parlo della presa di coscienza che le cose possono davvero mutare in una manciata di giorni.
Quella mutevolezza che vedevamo per lo più nei film e che solo coloro che avevano già sperimentato una brutta malattia o la tragica morte di una persona cara, avevano avuto modo di toccare con mano.
Allora ecco che qualcuno si è lasciato travolgere dagli eventi, altri hanno cavalcato l’onda del cambiamento, provando a declinare la parola “resilienza”, ad accettare ciò che era ineluttabile o anche solo a comprendere l’importanza dell’evoluzione personale.
Molti amici hanno deciso, per esempio, di tagliare rapporti divenuti infestanti, di interrompere relazioni professionali inutili e spossanti e – addirittura – di cambiare anche per scelta l’attività lavorativa che avevano mantenuto da anni.
Talvolta un’attività apprezzata o amata, altre volte un mestiere che ci si era ritrovati a fare un po’ per caso e tale era rimasto.
Pensandoci un attimo su mi è venuto questo pensiero: ok può spaventare, ma quanto sa di peperoncino e cannella il cambiamento?
Timore misto ad emozione, paura e voglia di mettersi alla prova in qualcosa di nuovo, voglia di crescere emotivamente e professionalmente!
Perché “crescere” professionalmente non significa per forza passare dall’essere medico di base a primario di un importante ospedale.
Cavolo: “crescere professionalmente” ben può farlo pure colui che da medico decide di fare il pizzaiolo!
Imparare nuove cose, vivere nuove esperienze, accrescere la propria cultura, magari dopo aver raggiunto l’apice dell’attività svolta per anni…
Forse la nuova parola d’ordine è – o deve diventare … che importa alla fine – “evolversi”, imparare ad accettare il cambiamento… cercarlo e desiderarlo proprio.
In fondo già “qualcuno” disse: “solo i più saggi o i più stupidi degli uomini non cambiano mai…”.
Buon tutto a voi…

Vanessa Bonaiti