Essere famosino, ma coione, mezzo cieco e con addosso la memoria di un criceto, è un po’ un casino, l’ho notato tre volte l’altro ieri e una oggi, ovviamente facendo ripetutamente la figura dell’uomo non al cento, più al sessanta, con quattro persone che non si capacitavano fossi lo stesso che scrive gli articoli con sotto la mia firma.
L’apice l’ho toccato martedì alla serata che ho organizzato alla Casa dello Sport con Ottone, Mauro e Robi sulla Legge Spadafora. In principio l’avvocata al tavolo dei relatori, la dottoressa Federica Poma, ma potrebbe essere benissimo Nicoletta Baroni, perché coi nomi non ci becco mai, comunque una delle due lì con noi, entrambe super brave perché ne sanno un botto di ogni legge, mi dice: “Posso farti una foto per Marzia, una tua amica che lavora con me?”. E io, in un nano secondo esatto, faccio scorrere nella mia mente bacata la lista delle Marzia che conosco, nessuna. Allora punto sulle Marta, che un po’ sono sordo e magari ho sentito male, e sono due, l’ex barista tettona del Florian, che adesso serve Negroni in un bar di via Previtali, e l’altra, direttamente dalla mia infanzia, Marta “Regalo”, evito di dire il perché, ma è un botto che non la vedo quindi magari è lei la tipa in questione, probabilmente ha lasciato la nostra città di origine e le passioni giovanili e si è laureata in giurisprudenza. Me ne convinco, “sì, ci conoscevamo a Lecco, da ragazzini. Adesso fa l’avvocato?”, “guarda che Marzia è di Bergamo”, “ah, ma dici Marzia, non Marta, Marta “Regalo”?”, “Dico Marzia…”, “Marzia, Marzia, non per caso Marzia, ma magari Marta?”, “no, Marzia, Marzia, Marzia”, “ah, Marzia, che è Marta ma con la zeta e la i, Marzia, forse Marzia Regalo?”, “sì, sì, Marzia, Marzia, Marzia, con la zeta e con la i, senza Regalo”. E io, concludendo, imbarazzato, “bello, Marzia, dico come nome…”, e lei, perdendo la speranza perché ormai in un dialogo surreale, “sì”. Sempre nella serata, ovviamente da gradasso perché privo dei miei occhiali da vista, a una certa esco a fumare una sigaretta dopo aver fatto la solita figura oscena in pubblico perché a parlare mi emoziono, mi trema la voce e non mi si capisce. Vedo in lontananza un bell’uomo, che sono sicuro sia Giovanni Moriggi, il pres della Pagazzanese. Grido: “E’ il presidente più figo del calcio bergamasco?”. Lui ride e mi si avvicina. E’ bello come Moriggi, ma non è Moriggi. Panico. Ma mi conosce ed è un presidente. Parliamo e scopro che è una persona super appassionata e di cuore. Entriamo nel dettaglio, il campionato, e mi spiega: “Siamo partiti alla grande, ma poi siamo arrivati col fiato cortissimo rischiando di retrocedere, ma da neopromossa e con i ragazzi splendidi che abbiamo, tutti a dare l’anima, ma nessuno che aveva mai fatto l’Eccellenza, è bello che sia andata così”. Colpo di genio, è il massimo dirigente del Sanpe, Giacomo Pesenti. Da lì in poi tutta in discesa, chiedo il giusto, gli faccio i complimenti perché i biancorossi sono una favola e scopro che in Valle Brembana leggono le mie cazzate. Siamo felici, sicuramente Jack, come lo chiamo quando mi allargo, ex calciatore come ogni dirigente biancorosso, è uno che frequenterò.
Sempre lì, quella sera alla Casa dello Sport, evito di raccontarvi nel dettaglio la figura fatta con Vale Battistini, bravissima e super carina, consigliere regionale della Lnd in prima linea per i dilettanti del mondo intero, “ma non ti ricordi? Ci siamo anche sentiti per telefono…” e io nel buio più completo. Concludo con questa notte, in centro, al Ritual, a farmi l’ultimissima birretta. Sono lì e mi ferma un signore sorridente, super allegro, pelatino, magro e in forma: “Ciao, Matteo, come stai? Ma che meraviglia vederti…”. Nel dubbio su chi sia gli racconto sostanzialmente gli ultimi cinque anni della mia vita. Lui mi ascolta e mi sorride, ma non mi dice chi è e manco lo capisco dalle sue frasi perché sta soprattutto in silenzio. Dopo una mezzoretta vado via e non riesco a dormire per il quesito che ho addosso: “Ma che fosse lui la famosa Marta “Regalo”, che ora è a Bergamo e ha cambiato sesso diventando un omo?”.
Matteo Bonfanti