di Matteo Bonfanti
Ammetto che dell’Expo non so una mazza. E nonostante i miei colleghi si siano messi a scriverne, alcuni anche coscientemente, continuo a non informarmi. Così faccio disinformazione. Ma non per cattiveria o per motivi politici. Sparo cazzate perché le persone mi fanno delle domande. Sanno che di lavoro faccio il giornalista, quindi mi chiedono. E io rispondo, a caso, ma sicuro, per non deluderle, che poi mi vengono i sensi di colpa e sto rabbuiato una settimana. Va anche detto che chi mi parla dell’esposizione universale fa un po’ come me, l’altro giorno eravamo a casa mia a mangiare, eravamo in otto e ognuno aveva la sua personale versione. Quanti padiglioni ci sono alla fiera di Milano? Pareva di essere al Bingo. Da chi stava schiscio e sosteneva ce ne siano poco più di una decina a chi esagerava arrivando a cinquecento. Lo stesso ci è accaduto con il numero di nazioni rappresentate, da un centinaio fino a un migliaio, a seconda dell’umore: i pessimisti tendono a minimizzare, gli ottimisti a esagerare. E poi si magna qualcosa all’Expo? Si paga dai cinesi o si può segnare come faccio qui al Blu Puro che saldo quasi sempre il giorno dopo? E restando sempre sugli amici cinesi, ti cucinano il cane di cui si dice siano ghiotti? E i serpenti? E le formiche? Se sei gentile puoi avere, persino pagando qualcosa, un sacchettino di scorpioni saltati in padella tipici della cultura culinaria del Sahara? E l’Italia? Ci sono le gustosissime mozzarelle delle bufale che amano papparsi l’uranio impoverito presente nel sottosuolo campano? C’è il banchetto sardo con l’omino che ti insegue per farti comperare un pezzo di pecorino o un intero porceddu con la testa che, eventualmente, puoi lanciare allo stadio alla prima di campionato? E il meridionale con il secchio del cognato imbianchino pieno zeppo di olive? E l’anguria: gli organizzatori te ne danno un pezzetto se gliela chiedi educatamente? Vogliono qualcosa? E se sì, quel denaro va a finire nelle tasche di Renzi?
Se sui padiglioni c’è certezza (sono centoottantre) e pure sulle nazioni esiste un numero ufficiale (sono centotrentasette), sul resto è nebbia fitta. Ci ho provato ieri notte. Finito il numero di Bergamo & Sport, mi sono messo d’impegno, su www.expo2015.org. Usavo la funzione “cerca”. “Sbaffarsi un ottimo pique macho, quindi far finta di non avere con sé il proprio portafoglio spiegando ai boliviani che si è un poco sbadati”, nessun risultato. Avanti con qualcosa di imperdibile in ogni fierone che si rispetti: “Salamelle cucinate nel radiatore di una vecchia Squalo come alla festa dell’Unità di Lecco nell’anno 1984”. E anche su questo tema il sito non sa niente. O se sa, finge di non sapere, che mia mamma sostiene sia ancora peggio. “Ordinare pezzi di coniglio con la puccia e vedersi arrivare un gatto arrostito alla bell’e meglio”, nulla di nulla. Al decimo tentativo mi sono detto che all’Expo non c’è quello che voglio. Provate a digitare “cassoela”, “pizzoccheri molto grassi”, “pasta con la legor”, “polpettine giganti coi piselli fatte da mia nonna Pina che ha le unghie nere”, “scarpinocc”, “strozzapreti annegati in un chilo di Branzi puzzone e fuso”, “kebab del pakistano che mentre te lo prepara si gratta il pacco, raccontandoti della bomba atomica in mano al suo paese d’origine”, “pizza al tonno che se la lasci lì un’oretta prende il gustoso sapore di topina femminile non lavata nel bidè da qualche giorno”, scoprirete che l’uomo che gestisce www.expo2015.org fingerà di non essere al computer e non vi darà alcuna risposta.
Vale la pena spendere trenta euro, tirar fuori la macchina dal garage, guidare fino a Milano se non c’è un vitello tonnato stagionato in stile Festa della Liberazione al parcheggione di Seriate? Lo sappiamo tutti, ho visto le foto, il taglio che hanno dato all’esposizione è quello di Slow Food, di Eataly: cose elaboratissime che non sanno di una beata minchia, a dosi microscopiche che non soddisfano manco i nanetti che lavorano da Willy Wonka, su piatti inghirlandati da fiori introvabili, coltivati appositamente in Polinesia per fare un figurone. Una volta i miei amici ricchi mi hanno portato a mangiare cose così, abbiamo finito la serata al Mc Donald’s. Che a Milano c’è. E questa è l’unica buona notizia che posso confermarvi.