Metti una notte in nerazzurro, per colorare di speranza e follia il cielo della Bergamo che stravede per il pallone. Con l’incubo blucerchiato del sabato da scacciare come la peste, insieme alle ansie e alla paura del Davide di non farcela ad abbattere il Golia di turno. Gli ingredienti per un dopocena da brindisi a bicchierate piene ci sono tutti.  German Denis, l’Atalanta, la partita col favore delle tenebre. E l’Inter dall’altra parte, la vittima designata. Del Tanque, appunto. L’uomo che nella scorsa stagione calò il tris nel rendez-vous alla Scala del calcio dopo aver fatto doppietta tra le mura amiche all’andata, strappando quasi da solo sei punti su sei alla Beneamata all’ombra della Madonnina.
Ma la combinazione magica per battere la banda di Mazzarri, il bomberone di Remedios di Escalada che cerca di schiodarsi da quota quattro facendo al contempo dimenticare le stecche nella nona sinfonia mancata a Marassi, l’ha trovata solo sotto le Mura. Perché i suoi sei acuti nella porta dei meneghini orfani dei bei tempi andati mourinhiani, questo ragazzone trentaduenne che in Italia prima di essere arruolato da Percassi e Marino non era mai andato in doppia cifra, li ha messi insieme negli ultimi tre scontri diretti. Tutti quanti sotto le insegne della Dea, portabandiera del football ruspante della provincia estrema che innalza sugli scudi chi oltre alla tecnica e al savoir-faire riesce a gettare il cuore oltre l’ostacolo: nei cinque gettoni precedenti, tra Napoli e Udinese (uno), zero al quoto. Un successo per ogni maglia, ma mai da protagonista, un pari e due ko. Da quando il panzer capace di fare reparto da sé – e nella Città dei Mille, si sa, il 4-4-1-1 è un must fin dai tempi del Colantuono atto I passando per Delneri – ha messo piede laddove il sole è baciato dalla Maresana, al contrario, scintille e fuochi d’artificio. Basta cominciare da dove eravamo rimasti per convincersene. 7 aprile 2013, “Meazza”, minuto 65. L’uno-due di Alvarez ha già vanificato il pari di Bonaventura dopo il vantaggio interista firmato dal matusa Rocchi, quando l’arbitro Gervasoni vede un fallo di non si sa chi su German Gustavo l’argentino: è rigore o forse no, ma il nostro la piazza. Così come gli altri due gol della remuntada più fantastica ed esaltante della storia dell’Atalanta, figli di un assolo ubriacante e di un piattone sapiente su assist di Jack: 4-3, una delle troppe gocce che di lì a fine primavera faranno traboccare il vaso dell’imberbe Stramaccioni.
Ricordi di una nottata da spellarsi le mani, indelebili al pari di quelli dell’11 novembre scorso. Evidentemente sono le mezze stagioni a portare bene, chissà. Perché al Tanque, in collaborazione con l’unico Frasquito immarcabile e sopra le righe di un 2012/2013 da salvezza parecchio stenterella, era andata di lusso anche in autunno. Dodicesima giornata, davanti a 19.779 tifosi: tanta gente non la si vedeva da un bel po’, al “Vecchio Comunale”. Fu 3-2, c’era ancora – a libro paga e in campo – quello Schelotto che nel retout-match avrebbe inscenato un’indegna gazzarra dopo il triplice fischio azzuffandosi con Raimondi. Botta e risposta tra Jack (testatona) e Guarin (punizione nel sette), poi ecco il primattore prendersi la scena. Di nuovo col naso avanti all’ora esatta di gioco, complice l’allungo di Maxi. Quindi, il penalty del 3-1 (nel finale accorcerà Palacio), procuratosi dal compagno col numero 11 (falletto di Silvestre). La ripresa di confidenza col dischetto, da dove aveva fallito – complice Castellazzi – nella recita dell’anno prima, al novantesimo, gettando alle ortiche il bottino pieno dopo aver provveduto lui stesso a rimediare, con una zuccata regale (cross del Frasquito, guarda un po’), al gol di Snejder. Era il 26 ottobre di due anni fa. L’ultima volta che il 19 dall’accento bonaerense sbagliò qualcosa contro l’Inter. Ma anche l’inizio di una storia destinata a ripetersi, almeno nei sogni di chi ama la ninfetta del calcio made in Orobie. A trasformarli in realtà dovrà pensarci lui. La solita nottata di mezza stagione farà il resto.
Simone Fornoni