Fidati di me perché questa notte Bergamo è illuminata dalla luna. E’ immensa e bianca, ha un occhio aperto e l’altro chiuso, dormicchia tra i colli tutti intorno, riscalda i camini di Città Alta e ogni tanto mi parla delle stelle. Mi dice di te, che hai un sacco di polvere nel cuore e che ti viene freddo persino quando c’è il sole. Proprio come me, che scrivo perché ho ancora l’erbaccia nelle scarpe, mi è restata perché sono cresciuto ai bordi della ferrovia e certe cose non passano, stanno sulla pelle, escono la sera, appena faccio la doccia, prima di mettere il pigiama a scacchi per vedere “Le conseguenze dell’amore”. Te l’ho detto, mi sono messo d’impegno, quest’anno che arriva voglio impararne i dialoghi a memoria, come una volta coi miei amici del “Posto”, da Teti, a Bartesate, appena sopra casa mia, da ragazzino il martedì con “Star Wars”, ripetere a oltranza le battute del maestro Yoda, il mio sogno preferito.
Ed ecco che mi riappare Lecco, da dove vengo, la mia piccola città ormai lontana, forte e fragile, bellissima d’inverno. Anche lei in questo momento sta guardando la luna. Ero piccolo piccolo e c’erano i tossici al Parco Belvedere, ci sei stata qualche volta da bimbina? Al Bar Andalù spendevo mille lire, cinquecento per le goleador, altrettante per i liquironi. E ascoltavo i grandi che stavano al bancone, chiacchieravano del tipo che per troppi acidi si comportava da robot, menando a destra e a manca, spaventando anche le nonne e le mamme. Ma non era vero, lui lì non esisteva. E poi a me i drogati non hanno fatto male mai. Li guardavamo da lontano mentre giocavamo a pallone, li vedevamo col cerchio viola della pubblicità progresso, quel bordo addosso che avevano alla tv. E allora convincevo gli altri e prendevamo le nostre Bmx e correvamo giù al lago ed era un pezzo bello grosso, quasi fino all’Abbadia, con la paura e i brividini che arrivassero le macchine senza vederci e stendessero l’intera nostra fila perché già a quel tempo i patentati giovani e vecchi andavano fortissimo, a cento e passa all’ora.
Non so perché ti scrivo i miei ricordi, probabilmente perché tra pochi giorni è Natale, magari invece è solo la musica alla radio, oppure perché è la mia prima sera libera dopo dieci anni esatti di lavoro e ho bisogno di trovare almeno cento parole che sappiano cullarti o, ancora, perché questa mattina mi sono alzato tardi e ho messo gli occhiali da vista ed ero identico a mio babbo in quei tempi là, dolce, sorridente, allegro e perso su una strada, una persona leggera, di cui ti puoi fidare.
Matteo Bonfanti