Gli allenatori si dividono, almeno, in tre categorie: maestri, mestieranti, venditori di fumo. Oscar Piantoni, che se ne è andato troppo in fretta ieri, apparteneva alla prima categoria, quella dei maestri. Era un maestro di strada, nel senso che per lui il gioco del calcio cominciava sui campetti dell’oratorio e finiva, magari, in serie A. Oscar non ha allenato nella massima serie, probabilmente l’ha sfiorata. Di sicuro non è mancata l’esperienza internazionale prima con Walter Zenga al National Bucarest, club romeno che all’inizio del duemila era ai vertici del campionato e lottava con la Dinamo e la Steaua per lo scudetto, e poi alla guida dell’Oradea. Come giocatore, difensore puro, Oscar Piantoni era partito dalla Gandinese, la squadra del suo paese, e dopo aver girato fra i club più titolati della Bergamasca, era finito alla Virescit proprio nella stagione 1979-80, in pratica l’inizio della gloria viola. Era il giugno 1979, Sandro Ghisleni aveva rilevato la categoria della Promozione dal Damine di patron Giovinetti. Bisognava fare una squadra forte e competitiva, le ambizioni di successo non mancavano. Al termine di un’amichevole Oscar, che militava appunto tra i gialloverdi del Dalmine ed era ormai sulla trentina, chiese al cronista con un sorriso sornione: “Ma questi qua mi prenderanno?”. Ovvia la risposta: “Se vogliono vincere il campionato come dicono chi vuoi che prendano in difesa?”. E infatti vestì la maglia viola contribuendo alla successo finale. Una lunga carriera di allenatore. Tanto per cominciare nelle sue valli, Seriana e Gandino, tra Leffe, Albino, Alzano con i successi con l’AlzanoVirescit e l’AlbinoLeffe, di cui è stato il primo allenatore. Ma anche Alessandria, Valenzana, Monza, Calcio Caravaggese tanto per non dimenticare. Gli “studi” di Coverciano hanno consegnato un tecnico pragmatico, tatticamente attento alla fase difensiva che però studiava gli attacchi con micidiali azioni di contropiede. La sua filosofia calcistica non era complicata, anzi: prima la solidità, quindi la fantasia. E in panchina, durante le partite, scrutava con massima attenzione le mosse avversarie con uno sguardo corrusco, balenante, pronto a risolvere le questioni tattiche. Fine psicologo con i suoi giocatori, sembrava un burbero, era un cuore aperto. Negli ultimi anni continuava la sua attività come osservatore, soprattutto dell’AlbinoLeffe. Quando ci si incontrava era sempre un piacere discettare di calcio con lui. Oscar, ti sia lieve la terra.
Giacomo Mayer