Loro erano come fratelli. Anzi, sono. Perché, anche se Leonardo non c’è più da solo un giorno, il loro legame, fortissimo, non lo spezzerà neanche la morte. Eh sì, sembra strano, quasi surreale, parlarne. Ma questo incubo, purtroppo, è solo verità. Da ieri pomeriggio la vita della sua famiglia, quella di Francesco, degli amici e delle tante persone che gli volevano bene è cambiata per sempre: Leo è stato strappato alla vita, ai suoi sogni e al suo futuro per un incidente sul lavoro. Niente sarà più come prima. In pochi minuti, in frantumi, sono andati i pensieri felici, la leggerezza dell’aver venticinque anni, le ambizioni di chi comincia a comporre il puzzle della vita. Per ora, resta solo il dolore, il vuoto, il buio e l’angoscia.
“Non c’è mai un modo giusto per morire” dice Francesco Romei, il migliore amico di Leo, il compagno di classe e di calcio, il fratello, il portierone del Sabbio. E ha ragione. Specialmente se a morire è un giovane “allegro, spensierato, buono, educato. Un vero amico. Una persona speciale. Un ragazzo fantastico, senza difetti. Uno di quelli che nello spogliatoio portava sempre l’allegria; aveva il sorriso contagioso”. E’ morto facendo il suo lavoro. Quello per cui aveva lottato e sudato, riuscendo a conquistarsi, solo una settimana fa, l’ambito traguardo del contratto a tempo indeterminato. Perché, nell’epoca moderna, dove ci si crede onnipotenti e dove vige il mito del superuomo, i giovani sono costretti a vivere il miraggio della certezza del lavoro. Si vive per lavorare, ormai, e si lavora per potersi costruire un futuro. Ecco, anche per Leo era così: “Era felice di essere stato assunto – continua Francesco -, perché dal giorno della firma aveva cominciato a mettere in fila i suoi sogni: la macchina, la casa, la vita”. Progetti lungamente agognati, spazzati via in un soffio. “L’ho saputo subito. Mi hanno chiamato prima mia mamma e poi i suoi familiari. Mi è crollato il mondo addosso. Non ci volevo credere. Ho preso la macchina e sono corso in ospedale. Poi la disperazione”. E se potessi rivederlo anche solo per un momento? “Lo abbraccerei forte e gli direi che gli voglio un bene dell’anima. Che per me è come un fratello. Che non gliel’ho detto mai abbastanza che lui, per me, è speciale”. Leo e Francesco, insieme, hanno condiviso un pezzo di vita, probabilmente la più bella, quella fatta di spensieratezza, di fame di vita, di cazzate, di ideali e di grandi sogni: “Di Leo ho tantissimi ricordi, davvero. Ma, uno in particolare, legato al mondo del calcio, la passione che ci univa, è quello più fervido nella mia memoria. Mancava un mese alla finale del Trofeo Preda e Leo si era infortunato. Non andavamo benissimo in campionato, eravamo quart’ultimi, ma nella Coppa eravamo imbattibili, tanto da arrivare in finale. Leo ci credeva un casino. Infatti, per fronteggiare l’infortunio e non rischiare di saltare la finale con la Virtus Lovere, andava quasi tutte le sere a Ghisalba dal fisioterapista, poi veniva a correre al campo. Poi arriva il giorno della finale. Il mister, prima di scendere in campo, negli spogliatoi legge le formazioni. E lui non parte da titolare. Le lacrime gli rigano il viso. Poi la svolta. Entra nel secondo tempo e vinciamo. Di nuovo lacrime, ma questa volta di gioia”. Ecco Francesco, il destino ti ha tirato un brutto scherzo, ti ha portato via l’amico migliore che tu potessi avere. Ma, ricordati, che i ricordi, quelli che ti scaldano il cuore, ecco quelli, non te li potrà mai portare via nessuno. Ciao, Leo.
Monica Pagani

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