Ora la Dea è bellissima, è un dogma, lo sappiamo tutti. Così come è noto all’intera Italia che questa Atalanta è stupenda al novantanove per cento perché ha in panca Gasperini, il mister con in tasca il gioco migliore che c’è oggi in Europa e che in una manciata di anni ha fatto mettere trecento milioni in saccoccia al suo pres, Percassi, per via delle qualificazioni Champions e grazie ai giocatori che il mister trasforma, da incompiuti a fenomeni. Sartori, altro gigante, li scopre, li annusa nel mondo circostante e li compera per due soldi. Poi Gasperini fa il resto.
Persino Zapata, l’acquisto più costoso nella storia del club di Zingonia, è il frutto del lavoro di questi due giganti. Al Napoli o alla Samp non era il meraviglioso centravanti che è, ora è un campione, prima era un grande talento, ma a cui mancava qualcosa. Muriel è il capolavoro assoluto, Gagliardini, Petagna, Cristante, Kessié, Conti e Castagne la regola.
Ma c’è un ma, che è il nodo della questione, e sono i giocatori che più ci fanno godere, i soli che la risolvono quando capita alla nostra squadra, va detto rarissimamente, che l’intero undici resti senza benzina, quest’anno accaduto solo contro la Juventus nella finalissima di Coppa Italia. Ne abbiamo conosciuti due nell’era gasperiniana, il Papu e Ilicic, entrambi fatti fuori perché il calciatore che ha classe ha un altro viaggio. Con loro l’avventura non è solo quella del tatticismo o del dinamismo esasperato, comunque qualcosa di incredibile, sono più le coccole, la riconoscenza e la poesia: a volte i grandi numeri dieci si estraniano, toccano un paio di palloni pensando ai cazzi propri e ne mettono dentro uno per la festa incredibile che dà conquistare tre punti immeritati.
Da direttore di Bergamo & Sport, tra l’altro calciatore ancora in attività a 44 anni, so di cosa parlo, che è anche il segreto di un ottimo team di lavoro, chi ha capacità superiori, non va trattato come chi quei talenti non li ha e manco sogna di averli o di sbattersi giorno e notte per sentirseli addosso. Ed è frustrante per entrambi, l’architetto e l’operaio, se il manico li mette ogni volta sullo stesso piano.
Il limite del Gasp, l’oro di Bergamo e di Percassi, sta qui. Il film di Roberto Baggio insegna che non si possono trattare in modo uguale il numero tre e quello che ha il dieci sulle spalle. Hanno ruoli diversi e caratteri opposti, persino i metodi di allenamento tra loro non coincidono. Anche nel pallone c’è di mezzo il sogno, chi ce l’ha e chi non lo possiede, ed è una fortuna, c’è chi la deve cambiare per le sorti magnifiche e progressive del gruppo e chi, invece, deve difenderla con le unghie e con i denti.  
Non me ne vogliano i tifosi dell’Atalanta, ma alla domanda da un milione di dollari di questi due anni, ossia cosa manca ai nerazzurri per vincere lo scudetto o la Coppa Italia, non penso che sia una questione di giocatori anche perché in Italia non vedo calciatori in grado di far fare questo salto, ormai minimo, all’Atalanta. La rosa è già spettacolare, l’ha resa immensa proprio il Gasp.
Credo che il limite della Dea sia l’immenso vantaggio nerazzurro di questi anni, ossia Gasperini, il migliore allenatore oggi al mondo. Percassi dice Gasp a vita. E al suo posto lo direi anch’io. E ai tempi delle feroci polemiche sulla cessione del Papu, mi ero ripromesso di non scrivere più nulla fino alla fine della stagione. Ora che è finita, penso che alla Dea Gomez sia mancato. Come sono convinto che qualche punto si sia perso per aver lasciato spesso in panchina Ilicic, genio, col bisogno immenso di giocare per ritrovare le antiche certezze.
So benissimo che questo articolo dividerà gli animi e apprezzerò ogni opinione, ma resto della mia, che con un’Atalanta così vicina a un’Inter (forse) in dismissione, a un Milan eccessivamente giovane e a una Juve in cerca di una nuova anima, anche il Gasp, comunque il tecnico migliore che abbiamo mai visto a Bergamo, debba cambiare quel minimo, accettando che il calcio come la vita non ha regole perfette, ma ogni volta scelte eccezionali. Per vincere lo scudetto, mai così alla portata di Bergamo, proprio grazie al Gasp.    
Matteo Bonfanti