Come tanti altri di faccende atalantine affaccendati, mi domando senza darmi una risposta, scrivendolo per avere il parere dei lettori pur avendo la mia idea, se l’era Gasperini, classe 1958, sia ormai giunta alla fine e serva un ricambio oppure se la sua fortunata stagione orobica sia a metà, nella grazia di un quinto posto nonostante il momento di profondi cambiamenti e forse pronta al salto doppio definitivo per arrivare all’apice del Leicester di Ranieri, insomma finalmente verso lo scudetto o la coppa che è mancata in questi anni di meravigliose sorti nerazzurre e progressive. Intanto l’uomo, che a me è sempre piaciuto fino a proporlo come sindaco la prima volta che ci ho parlato di persona, trovandolo sveglio, un gran comunicatore, non so se laureato, ma con quel piglio di assoluta conoscenza calcistica mentre stava portando la mia città in Europa, il posto del mio cuore, perché è qui che sono nati Vinicio e Zeno, i miei due figli, e per me lui lì, dico Gian Piero, il maestro, ci ha pure resi quell’attimo più ricchi e sicuramente ci ha allargato gli orizzonti perché adesso un po’ di inglesi, francesi e tedeschi scendono a Orio e vengono a fare un giro sul Sentierone, senza correre al volo a Milano, pure perché la sera al Gewiss c’è l’Atalanta, la sua, che è piccina picciò, ma che tremare il mondo fa. Noi cronisti, voi tifosi, eravamo reduci da anni di pane secco e duro, da mangiare pucciandolo in minestre riscaldate, stagioni tra il chiaro e il fosco, “sempre lì, lì nel mezzo”, come nella canzone del Liga. Poi il suo arrivo e tutta un’altra storia, la musica del pallone, gli architetti e gli operai, occasioni su occasioni, qualcosa di bellissimo, il Papu e Ilicic a nastro, come se piovesse, il ben di dio, l’abbondanza, i 5 a 0 che non avevamo visto mai. Percassi, il Tone, va detto a onor del vero, nel suo secondo periodo al comando del club nerazzurro non ne ha mai sbagliata una, ma è il Gasp il signore che ha fatto la differenza, l’uomo della provvidenza. Coi giovani e col lavoro, coi calciatori finiti, con le scommesse dalla B e con gli scappati di casa, obbligandoli al doppio che si fa a Milanello, lo stesso che Spalletti quest’anno ha imparato che lo si deve fare anche a Napoli preparando il Lecce se si ha la squadra giusta e se si vuole finalmente centrare l’obiettivo bello grosso. Viva Gasperini, il rivoluzionario, l’uno contro uno, il campo che si allarga, il portiere dai piedi buoni e che fa il libero, il Gollo Gollini. Ora in Italia tutti giocano così, copiando l’edizione del 12 agosto 2020, Atalanta-Paris Saint Germain, l’apice del progetto, il passaggio tra le big mondiali senza averne la potenza di fuoco né il presidente coi pozzi petroliferi degli Emirati. Se solo il fidato Remo non avesse avuto nei minuti finali la lesione di primo grado al bicipite femorale sinistro, la cosa che non ti aspetti e che in cinque minuti secchi manda tutto a puttane, sarebbe arrivata la semifinale di Champions. Senza quella sfiga, l’Atalanta la coppa dalle grandi orecchie forse avrebbe potuto anche sollevarla. Va beh, è andata in un altro modo e non ci crucciamo. Scordiamoci il passato.
Resta l’attualità: andare avanti o non andare avanti col Gasp? E’ un po’ l’essere o non essere Shakespeariano. Gian Piero lo conosciamo, ne sappiamo gli infiniti pregi, ma anche ogni difetto, patriarcale, accentratore e sul caso Vlahovic pure politicamente scorretto, se poi la cosa è un errore non lo so, ma m’infilerei nei pensieri sparsi, quelli di Fabio, che stimo e che anni fa lavorava per noi, ma è assai diverso da me, Gennari è un bravo giornalista, ma che scrive da tifoso dell’Atalanta, ha il cuore immerso nelle frasi, fa godere tanto tanto chi vive per la Dea. Io no, sono solo un cronista interessato, di comprovata fede rossonera, ma che col club di Zingonia c’entra un po’ perché ne vede ogni partita perché dirige il fortunato e prospero giornale che viene distribuito allo stadio di Bg.
Ci sono profili più eleganti del Gasp, da mezzo bolognese penso a Thiago, di cui mia nonna Pina, che abita in Piazza della Pace, in un appartamento che sta proprio di fronte al Dall’Ara, ne è da mesi perdutamente innamorata. Figlioccio del Gasp, come la metà ormai in Serie A, ma meno radicale, che per lui il giocatore non è solo un professionista, ma è anche un ragazzino e qualcosa delle volte gli va perdonato, persino l’assenza alla rifinitura per via dei tiramenti della sua bella. Gasperini no, col cazzo, prendi un sacco di soldi e ti dai alla causa, la mia, e non so perché ma stasera mi viene da citare un’altra volta il Liga pensando al Gasp quando al baby del vivaio gli dice “vieni qui a Zingonia fin quando fa male, fin quando ce n’è” e di tempo per le fighe ne rimane assai pochino, piuttosto farsi fare due massaggi rigeneranti dopo le mille e passa ripetute, le ore di tattica alla lavagna, i torelli privi di una fine.
Chi ha ragione? Chi ha torto? Per me Gian Piero Gasperini, nato il 26 gennaio del 1958 a Grugliasco, perché alla fine di tutto sono i risultati confrontati all’investimento iniziale: i felsinei chiudono noni a quota 54, fuori da tutto, nonostante le ingenti spese di mercato a luglio e poi a gennaio, l’Atalanta a 64, in Europa League, pur che tanti nostri prodi, dopo anni e anni di lavori forzati, sono all’ultimo giro di giostra e sia arrivato il momento di una svolta generazionale che con Gian Piero è a un passo, anzi è già iniziato in questo 2022-2023, Hojlund e Lookman, last minute di successo, ne sono la prova, la nuova luccicante e pregiata linfa forgiata dal maestro piemontese.
Che dire in conclusione? Da sportivo, osservatore dell’Atalanta, il Gasp è il meglio, forse, per una volta nella vita, obbligarlo a mettere il becco anche nel mercato vista la conoscenza del pallone che ha, scegliere un modello che non è in voga in Italia, ma all’inglese, tipo il City di Guardiola, che di cento e passa prospetti proposti dagli scouting i tre o quattro volti nuovi del Citizens li sceglie ancora lui. Questo non vuol dire mettere in croce il ds Tony D’Amico che il suo lo sta facendo bene, ma dare un budget ancora maggiore all’intera compagnia cantante e l’ultima parola al mister per provare a vincere qualcosa dopo queste sette stagioni uniche e ruggenti, ma a cui manca ancora il colpaccio che serve per l’immortalità.
Matteo Bonfanti