Ormai non mi succede quasi più, all’inizio della mia carriera da giornalista sportivo sempre: conoscevo di persona un calciatore che amavo e di cui ne scrivevo le gesta e mi veniva addosso tanta di quella timidezza che a parlarci insieme parevo un mezzo ebete. Così anche una volta dopo non so che super partita dell’Atalanta con German Denis a ubriacare gli avversari, col taccuino a intervistare il mio “Germano”, forse il più grande centravanti nella recente storia nerazzurra, comunque uno dei cinque più forti di un secolo di Dea, un altro della stirpe del Papu, un lutto pesante quando ha lasciato Bergamo.
Ieri grazie al Cavernago, società di Claudio e Matti, e che mi viene da vivere e da raccontare perché si muove ogni volta lungo la meravigliosa linea dell’allegria che dà il pallone, mi sono ritrovato a cena con German, ora alla Reggina. Siamo stati a ridere e a scherzare perché il ragazzo è di quelli giusti. Gli ho regalato il mio libro e lui qualcosa delle mie cronache si ricordava, “mi piace e mi piaceva come scrivi, immensamente grazie per il Vestaglietta. E’ un dono. E mi sdebiterò”. E ha voluto la dedica, manco fossi io lui, dico il campione. Ha comperato il cd “We’re the fubal”, fiero di fare la sua parte perché è un progetto di beneficenza.
Col passare dei minuti ho scoperto un uomo bellissimo, una persona umile e dolce, semplice e simpatica. Alla fine ci siamo ripromessi di farci una seratona mentre ci salutavamo per tornarcene a casa che era tardi tardi: “Ehi, Mateo (con una t, all’argentina), ti aspetto a Reggio che c’è il sole e si sta bene per farci due birre in un localino che merita. E poi ti porto a farci due passi di tango, che io sono molto meglio da ballerino che da calciatore. Comunque alla festa ad Azzano voglio esserci, ma solo se mi fai giocare coi giornalisti…”.
Gli argentini… Veri, popolari, compagni. I calciatori, che se li conosci, li scopri uguali a te che stai a pensare come arrivare alla fine del mese, loro coi milioni in banca, ma con la stessa voglia di starsene a tavola a parlare di cazzate, a ricordare quella volta, a brindare col rosso della Valcalepio sognando la promozione in Prima categoria del Cavernago, un gruppo di soci, gente che il pallone è davvero un pretesto per viversela meglio.
Solo questo, non c’è un finale né una morale, che io amo sempre infilare alla fine dei miei articoli, solo dire ai tanti tifosi dell’Atalanta che su Denis non si sono sbagliati, è un uomo di cuore, stratifoso della Dea, un ragazzotto solare e a portata di mano, che sta bene proprio per questo e che non ha voglia di vivere su un altare, ma attaccato a noi che non siamo calciatori, ma che, proprio come lui, siamo innamorati di questa cosa meravigliosa che è il pallone.
Matteo Bonfanti
Nella foto quattro grandi: German, Claudio, Matteo e Michael, grandi e simpaticissimi, ieri a magnare con me