Io lavoro fino a tardi, quindi la mattina dormo come un sasso. Negli ultimi trent’anni mi sono alzato presto in due occasioni, la volta che sono andato a funghi con mio papà, in Valtellina, a Poira, splendida località sopra Morbegno, credo fosse l’autunno del 1994, e poi per via di una partenza intelligente verso la Romagna con i miei due figli, Vinicio e Zeno, l’alba maledetta del 23 luglio del 2017, la bellezza di sette ore di coda, sotto un sole da record, con la scassata Pandona Aranciona a metano di mia proprietà, sull’asse interurbano di Bologna.
Prima del covid, ho sempre riposato benissimo, oserei dire alla grande, dodici ore filate, con sveglia intorno a mezzogiorno, qualcosa che mi faceva restare giovane nonostante gli anni che passano, i figli che crescono, le mamme che invecchiano, il mio pacchetto di mozzi giornaliero e le due birrozze seguite dall’Amaro del Capo quotidiano che sono solito spararmi nel gargarozzo intorno alle sei e mezza di sera.
Ultimamente, invece, il mio sonno è disturbato costantemente dalla dad e non c’è modo di migliorarne la qualità perché in casa ci sono Vini, Ze e mia nipote Miranda, che sono adolescentini e che sono tre come il numero delle stanze nell’appartamento, le due camere e la sala, che comprende anche la cucina. Di solito la notte mi addormento sul divano, mai prima delle tre, dopo essermi sciroppato almeno una serie targata Netflix, ieri quella sulla Formula Uno. E alle otto, quindi appena cinque ore dopo, inizio a sentire un discreto traffico intorno a me. E’ la colazione. Immediatamente dopo c’è la scuola.
Intanto i miei sinceri applausi agli insegnanti, che mi sono accorto che sono bravissimi, accoglienti e creativi, a tratti commoventi tanto impegno ci mettono. Questa mattina in sala c’era Miri, terza media, e la lezione era bellissima. Accanto alla finestrella della professoressa c’era Alessio Tavecchio, una persona dalla storia meravigliosa. L’uomo, tre decenni fa, era un ragazzo abbastanza scapestrato, che faceva il pazzo con la sua moto, spesso mettendosi in sella con qualche cicchetto di troppo. Quindi l’incredibile schianto, il coma, il risveglio su una carrozzina e l’inizio di una nuova vita da sportivo, da campione paralimpico, trenta medaglie d’oro vinte in carriera nel nuoto, con un incredibile exploit ad Atlanta, nell’edizione dei giochi del 1996. Ora l’atleta, va detto dalla voce bellissima, aiuta le persone che rimangono paralizzate dopo un incidente. Le segue dandogli la forza necessaria in un cambiamento così grande. Soprattutto gli racconta che la vita è bella, la sua lui la vede come una seconda opportunità che il cielo gli ha dato, da vivere fino in fondo e sempre col sorriso.
Non mi dilungo su tante altre cose che ho imparato in questi mesi di didattica a distanza nelle mie orecchie. Ho ripassato la storia del Novecento, le poesie di Leopardi, ho imparato un po’ di spagnolo, qualche frase in francese e migliorato il mio inglese. Ho appreso nozioni su nozioni grazie agli interventi quotidiani degli esperti chiamati via via dai docenti.
Sento di avere parecchio sonno arretrato, di essere costantemente rimbambito e pure invecchiato di botto di una decina d’anni, ma sono felice. E inizio a domandarmi se il nuovo format non sia meglio di quello precedente. Me lo sono chiesto domenica, che in centro c’era la protesta dei genitori della mia età, tutti che rivogliono le lezioni in presenza. Ho parlato a Miri, Vini e Ze, che, invece, non volevano scendere in piazza perché a loro la scuola piace così com’è adesso. Dicono che stanno meglio perché dormono un paio d’ore in più, visto che non devono raggiungere i rispettivi istituti e grazie al fatto che la campanella è passata dalle otto alle nove. E sono entusiasti soprattutto del lavoro degli insegnanti, che, in questo casino, hanno messo in campo un’estrema umanità, eliminando quasi in toto l’assillo della valutazione continua per concentrarsi su argomenti nuovi e spiegati in modo semplice, diretto e coinvolgente, con l’obiettivo di tenere gli studenti il più possibile incollati allo schermo.
Che dire? Solo che alle volte noi genitori, io per primo, vediamo ogni cosa con i nostri occhi, spesso sparando sulla dad e sui suoi eroi, senza vederne i benefici, perché ancorati al nostro mondo, al nostro percorso scolastico, alla nostra storia. Penso che se per i bambini stare attaccati al computer sia una tragedia, perché sono fiori e l’acqua è stare tutti insieme in un’aula della materna o delle elementari, non è così per gli adolescenti, già alberi, radicati, che la loro socialità la vivono ogni pomeriggio nelle vie del centro, vivendo le ore di lezione solo ed esclusivamente in quel meraviglioso viaggio che è apprendere.
Solo questo, il pensiero che non tutti i mali vengono per nuocere, a patto di avere un ottimo maestro accanto. E in Italia ne abbiamo tantissimi.
Matteo Bonfanti
Nella foto: Alessio Tavecchio e Valentino Rossi, due campioni del nostro tempo