Faceva molto freddo a Zingonia.
Parcheggiai la mia bicicletta, una delle prime mountain bike della Bianchi, con doppia borraccia.
Il manubrio e la sella appoggiate alla rete metallica che divideva noi, poco più di 10 persone, e l’Atalanta, che si allenava in un campo ghiacciato, tra la foschia sempre presente in quei pomeriggi invernali a cavallo tra il 1988 e 1989.
Nessuno sulla gradinata di cemento.
Tutti lì sotto in piedi, nove pensionati ed io, ragazzino di poco piú di 12 anni, attaccati alla rete a parlare del più e del meno, mentre i nostri eroi giocavano a “torello”.
Pochi minuti prima, riuscii a farmi fare l’autografo che mi mancava, quello di Tiziano De Patre.
Nell’angolo di destra del campo principale di Zingonia, si allenavano – con passione, sudore e violenza – Ottorino Piotti e Fabrizio Ferron.
Incantato, come sempre, osservavo i voli incredibili di due portieri meravigliosi, mentre sorseggiavo dalla borraccia acqua che mi ghiacció i denti.
Davanti a me, seduto sopra un pallone, c’era Emiliano Mondonico.
In silenzio osservava tutto e tutti, anche chi gli stava dietro.
Attaccato alla rete metallica a rombi, aprii il taccuino con le dediche, e nella prima pagina vi era scritto: “A Stefano con simpatia, Luigino Pasciullo”.
Il block notes era un po’ sgualcito, e – in quel momento – decisi di non portarlo più in giro con me, ora che avevo tutti gli autografi.
Un paio di giorni prima, a Lecce, perdemmo 2-1, col gol della bandiera di Nicolini su rigore.
Corbani, ascoltato attraverso le cuffie del mio walkman, ci aveva raccontato una brutta sconfitta.
Ma dopo due giorni, io ero lì a Zingonia, senza veleni, senza rabbia, con solo tanta voglia di rivalsa.
La delusione era durata tutta la domenica sera, e la mattina del lunedì, quando sullo zaino – come solo dopo ogni sconfitta – attaccavo con orgoglio la sciarpa della Dea.
“CIAO EMILIANO”, urlai in un momento di pausa dell’allenamento.
Un sorriso sotto i baffi, un saluto silenzioso con la mano, e il mio cuore che si mise a battere troppo forte, anche per un adolescente.
Partii con la bici, lasciandomi a sinistra la rete metallica, nascosi la mia bocca tra la sciarpa dell’Atalanta e soffiai forte per scaldarmi.
Le mani fredde, nonostante i guanti.
Ma il cuore caldo, nonostante gli zero gradi di quel febbraio del 1989.
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