“Ho visto i sacchi per i cadaveri un giorno che ero in ospedale a Bergamo per un test: non ho comprensione per chi nega che il virus esista e sia pericoloso. E’ stato durante il lockdown, parlando con un amico, che m’è venuta l’idea dell’autobiografia. Un Robin Gosens nudo, crudo e sincero, quello che ha spiegato ad Aktuell, periodico della Deutscher Fussball Bund (la federcalcio tedesca), la genersi di “Träumen lohnt sich – Mein etwas anderer Weg zum Fußballprof” (“Vale la pena sognare – Il mio percorso leggermente diverso verso il calcio professionistico”, Edel Books, 256 pagine), in uscita in Germania e per ora solo in lingua originale il prossimo 8 aprile.

“C’è da ritenersi dannatamente fortunati invece di negare che il virus esista o sia pericoloso. Otto settimane rinchiuso in casa: il momento più difficile della mia vita. Era brutto leggere i reportage quotidiani che Bergamo era diventata una città fantasma, avere notizie di famiglia e sentirsi chiedere dagli amici se fossimo ancora vivi – rimarca il laterale mancino -. Il lockdown mi ha insegnato cosa è veramente importante nella vita, vale a dire avere persone care intorno a te e sapere che sono sane. Un giorno, all’ospedale, c’erano sacchi per i cadaveri impilati a lato dell’ingresso perché nessuno sapeva che cosa farne. Dopo otto settimane chiuso in casa, ho riscoperto il piacere di una chiacchierata e di un espresso cogli amici al bar”.

Ancora, sull’Atalanta: “Il grosso della squadra sta insieme ormai da quattro anni, ci conosciamo tutti tra compagni. Sappiamo quali sono i nostri punti di forza e le nostre debolezze: gli avversari non si adeguano perché abbiamo un modo di giocare completamento diverso. Pressiamo altissimi, cerchiamo spesso l’uno contro uno a tutto campo, arriviamo in area con tanti uomini ma dietro rischiamo di lasciare molti spazi: il nostro allenatore preferisce vincere 5-4 che con un noioso 1-0…”.