“Per la Champions League, che non può finire così per quello che abbiamo fatto finora, sono disposto a giocare anche ad agosto“. Parola di Robin Gosens nella chiacchierata in collegamento video con Sky Sport, ma tra il dire all’ora di pranzo e il fare senza una data precisa in mente c’è di mezzo la mareggiata di un calcio sommerso dallo tsunami Coronavirus. Oggi, anche l’Afa, la Federazione argentina, ha dato lo stop definitivo ai campionati: Boca Juniors campione, si torna alla formula annuale dal 2021, senza escludere del tutto un torneo nel secondo semestre del 2020 per la qualificazione alle coppe (manca anche la Copa nazionale per il secondo posto in Libertadores).

Ma a far preoccupare l’Atalanta in particolare e l’Italia del calcio in generale è il possibile effetto domino che nel pomeriggio del 28 aprile ha aggiunto una tessera chiamata Francia. Territorio Uefa, pallone del Vecchio Continente, l’Europa che vuole continuare e trovare lo spiraglio per la ripresa giocando d’estate. Il primo ministro Edouard Philippe ha detto chiaramente che gli eventi sportivi e culturali con più di 5 mila persone di pubblico potenziale sono sospesi definitivamente e riprenderanno soltanto a settembre. “Lo dobbiamo ai tifosi, per ripagare il loro affetto, dopo tutto quello che è successo a Bergamo, una terra che vive di calcio – il ragionamento di Gosens, ancora non presago dell’annullamento dei campionati in due aree del globo -. La ripresa la vogliamo tutti, per superare una situazione difficile in cui si soffre a non poter uscire di casa. Giocare anche in agosto suona strano, ma non c’è alcun problema”.

La terza tessera continentale del domino della pandemia, in coda al Belgio che ha chiuso il 2 aprile decretando il Club Brugge (15 punti di margine) campione e rinunciando ai playoff a una giornata dalla fine della regular season, e ai Paesi Bassi la cui Eredivisie ha subìto lo stop e il contestuale congelamento della classifica (come in Argentina: niente retrocessioni) lo scorso 24. Da noi Lega Calcio di Serie A, Figc, Assocalciatori e Assoallenatori vanno in ordine sparso, spesso in contrasto col governo Conte e col ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, uno che va in tv da Fabio Fazio la domenica sera a puntare il dito sulla governance del pallone dichiarandone insufficienti i protocolli per la ripresa. Il Coni, intanto, gli ha consegnato il suo, dopo quello della Federcalcio sostanzialmente bocciato: l’ha firmato il Politecnico di Torino, un report che si chiama “Lo sport riparte in sicurezza” e contiene l’indicazione del tampone da fare a tutti 48 ore prima di ogni partita. “Noi all’Atalanta la stiamo vivendo come tutta la gente, ma si spera nella ripresa. Sono previsti i controlli”, il pensiero del numero 8 di Germania.

Gli allenamenti individuali sono consentiti dal decreto licenziato domenica a partire dal 4 maggio, quelli degli sport di squadra dal 18. Ma tra il training, forse a gruppetti perché tra calciatori e staff ogni club ha in ballo almeno mezzo centinaio di persone, e il campionato, la distanza di sicurezza è notevole. L’Aic, tramite il presidente Renzo Ulivieri, s’è schierato con la politica contro il calcio, ricordando che il ministro Spadafora non ha mai fatto promesse sulle date della ripresa, a questo punto un dubbio con più punti interrogativi davanti. Il rischio è un nuovo stop al primo contagio, perché secondo il comitato tecnico-scientifico agli ordini di esecutivo e task force implicherebbe la quarantena per tutti i compagni di squadra e dei tesserati coinvolti nell’attività sportiva ordinaria. In Germania, invece, ripartenza probabile il 9 maggio, col Wolfsburg che si allena già dal 23 marzo, e isolamento per i soli positivi senza fermare alcunché. In Corea del Sud idem, ma qui siamo all’estremo opposto del non giocare per la paura: “Si gioca zitti e non ci si dà la mano”. In attesa di una via di mezzo tutta italiana, si salvi chi può.
Simone Fornoni