Guai a dirlo, ma senza il Papu la Dea non va in Champions, fa tre passi indietro e torna, dopo un sacco di tempo, nel solito viaggio, a metà del guado, tra gli applausi nel fortino che non portano a niente. Ed è solo colpa dell’orgoglio, che ha fatto più danni del petrolio. Fosse rimasto il nostro capitano, ma la prova non c’è, si fossero fatti una bella cena dalla Giuly, Ale e Gasp a ubriacarsi e a ridersela, magari con Spagnolo al seguito, oggi la Dea avrebbe vinto con la Lazio e il Triplete sarebbe stato ancora possibile. Col nostro numero dieci avevamo l’Atalanta più forte di sempre, dava a una rosa fenomenale quel pizzico di classe e di cuore che porta un gruppo fantastico ad andare oltre i propri limiti, persino al di là della fantasia, col gol e l’assist a ribaltarla quando meno te l’aspetti. Percassi, che ho visto una manciata di volte, senza mai conoscerlo davvero, genio che ha inventato il monomarca italiano nel mondo, re dei centri commerciali, nel pallone ha sbagliato un attimo prima di raggiungere la perfezione. Il segreto per vincere, nella vita, nel calcio, ma anche in amore, è mediare. Doveva mettersi, obbligarli a trovare un punto di accordo, perché nel campionato più sgangherato della storia un’Atalanta deliziosa, e poi col dramma vissuto a marzo da tutti noi, adesso è settima, oggi senza manco giocare, facendo vincere Inzaghino, uno odiosino, facendosi superare sempre e per sempre come non aveva fatto mai. Bastava così poco, che niente era drammatico. Il Toni ha cannato, un presidente non prende una parte, unisce.
Matteo Bonfanti