C’è Kessie celebrato oggi dalla Gazzetta dello Sport con un’intera pagina. Si dice sia il giocatore della Provvidenza, quello che è riuscito a cambiare la mediana del Milan, pochi mesi fa lenta e sofferente, ora veloce e tecnica, sempre a dominare gli avversari grazie allo strapotere fisico soprattutto dell’ex atalantino. C’è Conti, altro che in rossonero si sta confermando come uno degli esterni più forti dell’intera Serie A. C’è Gagliardini, che pare un po’ accantonato, ma resta comunque uno dei pochi positivi della scorsa stagione dell’Inter e siamo pronti a scommettere che diventerà un pilastro anche sotto la direzione Spalletti.
E poi c’è l’Atalanta, che ha incassato un sacco di soldi dalle cessioni dei tre e da quella di Caldara (cento milioni in tutto), e che domenica ha perso nell’esordio in casa, ko di misura contro la Rometta di Di Francesco, squadra ancora indietro nella preparazione e forse indebolita dal calciomercato per via degli addii di Salah e di Rudiger.
E’ un vecchio adagio, qualcosa che qui a Bergamo qualcuno di noi, ovvio parlo della manciata di giornalisti non allineati, scrive. E’, insomma, la solita domanda ferragostana già fatta ai tempi di Ruggeri: che cosa accadrebbe in Serie A e in Europa se l’Atalanta decidesse di non vendere  i suoi pezzi migliori a ogni sessione di mercato? Sogniamo, che il cronista sportivo fa sempre e solo questo, e immaginiamo un Percassi completamente diverso, uno di quei presidenti che si tiene i migliori aggiungendo un paio di pedine da urlo per fare un ulteriore salto di qualità, penso ad esempio a due come Pavoletti e Niang, fortissimi ed entrambi in fuga dalle rispettive big.
Fate pure polemica, ma un’Atalanta così finirebbe in Champions e se la giocherebbe anche lì. Peccato non ci sia la riprova, perché i migliori sono andati e i campioni non arriveranno. La Dea si salverà in carrozza perché ha un bravissimo allenatore, Gasperini, un grande capitano, il Papu, una rosa comunque di discreto livello e dei tifosi dalla passione immensa che riempiono uno stadio che pare un fortino, ma non lotterà per lo scudetto. Ed è un peccato.    
Matteo Bonfanti