Mi alzo, ed è già questa la buona notizia, ma sentendomi tale e quale a una tartaruga centenaria delle Galapagos. Con la stessa identica lentezza d’esecuzione cerco gli occhiali, un quarto d’ora dopo scopro che sono finiti in una fessura del divano rosso fuoco dell’anno ottantaquattro. Li metto, vedo bene, ogni contorno, ringrazio Dio di avermi fatto incontrare sulla mia strada Gigi Foppa, il famoso ottico, che martedì, in quattro e quattro otto, mi ha riparato la vista che ho difettosa dalla nascita, ma che non avevo mai curato perché pensavo che vederci fosse proprio quella cosa lì, sfocata e con delle ombre lunghe lunghe dentro agli occhi. Faccio una preghierina per la giornata, mi lavo i denti, penso alle tre cose da fare prima di andare a lavorare. Bevo un caffè dell’anteguerra, intento a riposare nella moka chissà da quale mattina. Fumo una sigaretta ed esco verso le poste di via Corridoni. Un’anziana signora cerca invano di fare il bigliettino per il suo turno. Non ce la fa. Aspetto. Dopo dieci minuti intervengo e glielo faccio io, mi ringrazia e si fa l’idea che sia uno degli impiegati, il solo in borghese, e mi chiede un’informazione di quelle toste: “Ma se mi è arrivato l’avviso che dal 13 novembre posso ritirare una raccomandata qui, me la date oggi?”. E io, gentile, ma fermo, “no, signora, gliela diamo lunedì”, ormai nel ruolo. Avverto però di non esserle sembrato credibile, la vecchina ha capito che non faccio parte dello staff, va allo sportello, origlio, gli dicono le mie stesse parole e mi sento soddisfatto, pronto per un nuovo mestiere nel caso al giornale accadesse l’irreparabile, una bomba atomica lanciata per sbaglio dai russi sull’intero piazzale San Paolo. Arriva il mio turno, ritiro la missiva mandatami gentilmente dalla polizia locale di Bergamo e scopro che mio figlio, Zeno, il secondo, quello assai creativo, domenica 10 settembre transitava a bordo del ciclomotore Piaggio Zip, suo, ma intestato a me, in via Tasso 89, zona a traffico limitato, fottendosene altamente dei cartelli di divieto. Pago, 77 euro e 45 centesimi, e mi tartarughizzo definitivamente. A quel punto decido che è venuto il momento di staccare un attimo per leggermi un paio di articoli sulla Gazzetta dello Sport, il mio personale antidoto alle sfighe in serie della mia vita. Vado dal Gamba, prendo un caffè doppio in tazza grande, apro la rosea, Luca mi serve, mi guarda e mi dice: “Che bello che sei così grasso. Stai proprio bene, un pacioccone”. Rifletto se posso valutare le sue parole come un complimento, attraverso la strada e passo al Fassi per prendermi la fetta di pizza di ordinanza che poi all’una e trentacinque circa mi papperò in redazione. La commessa, mora, riccia e simpatica, mi chiede se può dirmi una cosa che ha in testa da tanto tempo. Sentendomi preventivamente in colpa, mi metto a pensare se nel già citato forno ho fatto qualche minchiata delle mie, tipo prendere il pane, pagarlo e lasciarlo lì, cosa che mi è appena capitata al bancomat in via Santa Caterina, prelievo dimenticato dopo aver fatto l’intero e faticoso procedimento. Le dico “dimmi…”, mi dice “ti dico”, le dico “ok”, mi dice “va bene”, le dico “quindi?”, mi dice “ma lo sai che sei uguale a Chuck Norris da giovane?”. L’affermazione crea scompiglio perché l’altra commessa non è d’accordo, “ma no… Guardalo, è identico a quello del rugby. Come si chiama? Dai, quello grosso grosso, dell’Isola dei Famosi o di Ballando con le stelle…”. Nessuno di noi ricorda il nome del noto rugbista, ci aiuta una signora in fila, “Castrogiovanni, si chiama Castrogiovanni…”. Ah bé, sono a posto. Ringrazio le donne per l’attenzione, e, sulla strada che mi porta alla mia maghina, mi ferma un ciclista con la divisina nera e la scritta “Cicli Bonfanti”. Fa l’amicone “Ciao, come stai?”, e io mi domando “chi è questo qua, chi è questo qua, chi è questo qua?”. Glielo chiedo “non ci si lamenta… Ma dov’è che ci siamo conosciuti?”. E lui, sorridendomi come si fa coi toccati “Dai, alla festa di Luca Amadei… Non ti ricordi?”. Non mi ricordo e in più non ho la minima idea di chi sia Luca Amadei. Resta che sono nei cazzi, ho tre sosia, Chuck Norris da giovane, Martin Castrogiovanni e un imprecisato amico di Luca Amadei. La speranza è che si comportino tutti bene, che oggi ho già pagato la mia multa quotidiana.
Matteo Bonfanti
Nella foto: selfie redazionale che certifica la mia somiglianza con Chuck Norris, con Martin Castrogiovanni e con l’imprecisato amico carissimo di Luca Amadei