di Matteo Bonfanti
Ci sono due vicende che in questo momento mi danno da pensare, una è bella, l’altra è brutta, così com’è la vita. C’è che il sabato pomeriggio io e altri colleghi andiamo in carcere, a Brescia, giochiamo a pallone contro i detenuti, perdiamo sempre sette o otto a zero, ma ci frega gran poco, che non è quello l’importante. E’ stare lì, in quel posto grigio, cupo e triste, a colorarlo con i nostri sorrisi, quelli dei salvati, noi, che viviamo liberi, che stasera andiamo all’aperitivo nel localino figo di via Borgo Palazzo, domani a teatro, domenica a sciare e che amiamo una donna in carne e ossa, che ha braccia e gambe da toccare, una voce da ascoltare, labbra da baciare anche per ore perché il bello è che non si consumano. La galera è un luogo assurdo, disumano, ha corridoi stretti stretti, di un rosso amaranto, soffocante, ha bagni consumati dal piscio, l’odore fortissimo delle barbabietole, guardie in ogni dove, dagli occhi fissi, privi di speranza.
Il sabato no. C’è il campo di calcio, ci sono le divise arancioni come quelle dell’Olanda di Van Basten e le nostre, nerazzurre, identiche alle maglie dell’Atalanta del Papu. Ci sono l’arbitro e i guardalinee con cui far polemica, i gol di rapina e in rovesciata, i passaggi all’indietro, le battute, la tripletta dell’assassino, il cambio all’ultimo minuto di mister Spaterna, Fabio, il giornalista, quello della Uisp, il sosia di Jurgen Klopp, un ragazzo che ha la barba bionda e un gran cuore, che ha brigato per realizzare questo piccolo cinema paradiso, magico com’è il  football, una delle poche cose che fa sentire tutti uguali, calciatori punto e basta. Liberi.  
C’è che lunedì, più o meno alle cinque di mattina, una ragazza alta e bionda, appena vent’anni, stava a piangere e a gridare sotto la mia finestra. Aveva graffi alle mani, i gomiti sbucciati, scappava dal suo bruto, italianissimo e ubriaco, ed era sola al mondo, nel menefreghismo generale, il male peggiore di questi nostri strani giorni di campagna elettorale. Abbiamo sentito le sue urla isteriche, le abbiamo aperto, l’abbiamo fatta salire, le abbiamo dato un bicchiere d’acqua, il divano, la mia coperta bianca, pensieri e parole per rassicurarla che domani andrà meglio, in certi casi deve, per forza. Quando si è addormentata, sono andato a fumarmi una sigaretta giù, in cortile. E ho cercato di incontrare gli sguardi dei miei vicini, gli indifferenti, rinchiusi nei loro bellissimi appartamenti. Detenuti.

Nella foto: lo Spaternoster Team (che siamo noi, quelli nerazzurri) e i detenuti che sabato pomeriggio ci hanno battuto 7-0