di Simone Fornoni
Alla partenza, a Treviglio Centrale, molto più lussureggiante della Ovest, tanto da poter ospitare un convoglio speciale e anche più a tiro di Zingonia, l’assalto dialettico del tifoso del Napoli a Gian Piero Gasperini, che appena sceso dal pullman in direzione treno s’è sentito chiedere “dopo dieci anni ve la giocate o lasciate vincere la Juventus anche stavolta?”. Quindi l’invito a pedalare del mister, seguito dal “testa di c., terrone del c.” di Mirco Moioli, team manager dell’Atalanta esplicitamente accusata di volersi scansare col padrone del vapore a favore di telecamera, perché si sa, le provocazioni col trappolone riescono meglio se si è in due e si rende pubblico uno scazzo privato per montarci su montagne di vittimismo. L’unico, ahilui, che in campo non è riuscito a scansarsi, precisamente a scansare il gomito sinistro, rimasto larghetto quanto basta a differenza del destro per il primo dei due rigori con cui Madama è riuscita a riacciuffare lo score, altrimenti col piffero, è stato Marten de Roon.

Il povero e martirizzato Moioli, invece, dirigente di lungo corso, professionista dalla carriera immacolata, forse espulso una volta dalla panchina ma chi se lo ricorda più, non ha scansato nemmeno il fascicolo aperto dalla Procura Federale. Intesa come organo di giustizia sportiva della Federazione Italiana Giuoco Calcio. La magistratura inquirente del dorato mondo del pallone nazionale, ingolfato dalla più becera subcultura sportiva da giro di bianchini al metanolo al bar della bocciofila, ha ritenuto di dover intervenire a gamba tesa, nonostante il calcio, lo sport e il campo non c’entrassero una mazza. Perché se mezzo mondo del web grida al razzismo e alla discriminazione territoriale, e per di più sono coinvolti il Gasp e la Dea, ormai nel mirino di dietrologi da doping, di rosiconi e di zemaniani vecchi e nuovi, allora anche il piazzale d’ingresso alla strada ferrata è da considerare alla stregua del recinto di gioco e delle sue pertinenze. La vox populi diventa fonte del diritto. Roba che solo in Italia, Paese di processi mediatici e di piazza, dove chi provoca è un eroe e chi risponde piccato passa per prepotente.

La Società stessa, tirando le somme, è minacciata di sanzioni per responsabilità oggettiva. In coda al 2-2 dell’Allianz Stadium, Moioli, massacrato dai mass media napoletani, dal web e dagli anti-Gasp, perché ovviamente la colpa non può essere che sua, dopo la famosa dichiarazione a un giornale “meno male che la pandemia è esplosa in Lombardia e non a Roma a Napoli, almeno qui ci sono i mezzi per contrastarla”, ha ritenuto di dover fare due passi indietro. “Mi scuso per l’espressione usata nei confronti di questo pseudo tifoso. Mi scuso per non essere stato in grado di mantenere la calma di fronte alle accuse gravi ed infamanti di questo signore che, evidentemente, aveva preparato la provocazione. Non mi sto giustificando, sono consapevole di aver sbagliato, anche nei confronti dell’Atalanta, il messaggio dato in pasto poco dopo la mezzanotte a quei pescecani della stampa, che diranno che non è sufficiente, che il razzismo è una cosa seria anche se l’insultato è uno solo e, a dispetto del sasso verbale tirato con la pretesa di non vederselo ritornare addosso, è pure stato invitato al Centro Sportivo Bortolotti.

Le solite parole d’ordine spaccaballe del politicamente corretto, per cui se rispondi sul muso a un tizio che all’ora di pranzo del sabato non ha di meglio che fare la posta in stazione a una squadra di calcio apostrofandone l’allenatore, allora tutto il popolo affine deve sentirsi in diritto di dichiararsi offeso, denigrato, squalificato agli occhi del mondo, discriminato et similia cum similibus. La fiera del piagnisteo organizzato e degli indignati speciali un tanto al chilo, tra i quali perfino gli sciacalli capaci di sragionare in termini di “abbiamo pianto con voi i morti di Coronavirus e ci date dei terroni”. Il virus, sempre e comunque il maledetto virus, messo ormai nell’insalata e sulla pastasciutta, coi morti buttati addosso ai vivi nel tentativo di suscitarne improbabili sensi di colpa. Questo, sì, un insulto a un intero popolo, ma quello bergamasco, duramente colpito prima e anche dopo.

Nell’Italia che finge di prendersi sul serio col gioco più bello del mondo, salvo rovinarlo con regolamenti cretini e cervellotici come quelli sui falli di mano, fatali ai nerazzurri sulla strada della decima vittoria di fila ma dura lex sed lex, è lecito offendere solo Bergamo e l’Atalanta. La prima accusata di aver infettato almeno metà delle terre emerse, la seconda pure, oltre che di essersi dopata e chissà cos’altro. E se noialtri facessimo una bella class action ogni volta che finiamo nel mirino? Ah, che bergamaschi del cazzo, che polentoni del cazzo, ci direbbe qualcuno. Pace e amen, noi viviamo lo stesso. Voi, una vita, siete ben lontani dal farvela.